NEWS E CURIOSITA' DAL MONDO












09/11/2018UN NUOVO MINERALE SULLE DOLOMINI TRENTITE, SI CHIAMA FIEMMEITE

Fonte: La RepubblicaSi chiama fiemmeite una nuova specie mineralogica scoperta dai ricercatori del Muse di Trento, che prende il nome dalla località dove è stata rinvenuta, la Val di Fiemme in Trentino. Il riconoscimento è di straordinaria rilevanza se si pensa che è da due secoli che sulle Dolomiti non avveniva la scoperta di una nuova specie di minerale, sottolinea il Muse. Fino a oggi, i minerali noti alla scienza sono poco più di 5.000 - spiega Paolo Ferretti del Muse - non molti se paragonati alle specie viventi, che sembrano essere alcuni milioni. Trovare una specie mineralogica nuova è un evento molto più raro, dunque, rispetto a scoprire un nuovo essere vivente. Ad aggiungere eccezionalità a questo ritrovamento è il fatto che la fiemmeite proviene da un territorio, come quello dolomitico, in assoluto tra i più studiati al mondo. È dal 1815, infatti, che sulle Dolomiti non veniva riconosciuto un nuovo minerale. Con l'identificazione della fiemmeite un ulteriore elemento di unicità - questa volta mineralogica - si aggiunge a quelli di carattere geologico, paleontologico, geomorfologico e paesaggistico, sui quali si fonda il riconoscimento delle Dolomiti quali Patrimonio mondiale dell'umanità. La scoperta e lo studio sono stati condotti dai ricercatori del Muse Paolo Ferretti e Ivano Rocchetti (Università di Milano) grazie alla guida di un appassionato cercatore di minerali del posto, Stefano Dallabona (Gruppo Mineralogico Fassa e Fiemme). La ufficializzazione è avvenuta da parte della commissione IMA (International Mineralogical Association) che presiede alla nomenclatura e alla classificazione di nuovi minerali (Cnmnc).












19/04/2016TITO UN NUOVO DINOSAURO ITALIANO

Fonte: ADNKRONOSScoperto Tito, primo dinosauro sauropode italiano, un Titanosauro di sei metri che sarebbe vissuto circa 112 milioni di anni fa. E le ossa sono state studiate al Museo di Storia Naturale di Milano. Un gruppo di paleontologi italiani svela infatti oggi, con un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Cretaceous Research, che ossa fossili trovate sui Monti Prenestini, a meno di 50 km da Roma, appartengono ad un Titanosauro. Con questa scoperta, i resti scheletrici di dinosauri trovati in Italia diventano cinque e ben tre di essi sono stati studiati al Museo di Storia Naturale di Milano, uno dei principali musei civici del Comune di Milano - Cultura, che si conferma come centro di eccellenza nelle ricerche sui dinosauri italiani. "Con Tito, il soprannome dato al sauropode che è il più antico rappresentante del gruppo dei Titanosauri in Europa meridionale, sono cinque i dinosauri trovati finora in Italia sotto forma di ossa fossilizzate" afferma all'Adnkronos il paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano. "Ben tre di essi -continua- sono nuove specie, e Tito, con le sue bizzarre articolazioni vertebrali 'invertite', potrebbe rappresentarne un'altra". "E' possibile -osserva il paleontologo- che i dinosauri italiani siano così particolari, perché evolutisi in parziale isolamento, oppure semplicemente in ambienti diversi dai grandi spazi continentali". Il primo in assoluto è stato Scipionyx detto 'Ciro', un teropode, un dinosauro carnivoro bipede. Queste nuove ossa, seppur poche, sottolineano gli studiosi, risalgono a 112 milioni di anni fa e appartengono ad un sauropode, che rappresenta il primo dinosauro erbivoro quadrupede dal collo lungo scoperto in Italia, e il più antico rappresentante del gruppo dei Titanosauri in Europa meridionale. Da qui il soprannome di Tito, che evoca anche un imperatore romano della vicina Capitale. La presenza in Italia centrale di un dinosauro medio-grande, quando morì, Tito era lungo almeno 6 metri, ma stava ancora crescendo, indica, spiegano i ricercatori, "che nel Cretaceo inferiore la nostra paleo-penisola doveva formare una catena di piattaforme più ampie del previsto, che consentivano il passaggio di dinosauri e altri animali terrestri tra Africa ed Europa attraverso il Mare di Tetide, antenato del Mediterraneo". La scoperta dunque aggiunge dati paleogeografici importanti per la conoscenza della preistoria d’Italia. "'Datemi un osso, e io ricostruirò l’intero animale' diceva il famoso anatomista francese Cuvier. E così abbiamo fatto con Tito" ricorda Cristiano Dal Sasso. "Infatti -spiega- delle tre ossa estratte, due sono frammentarie, tanto che si può solo dedurre che appartengano a porzioni del cinto pelvico di un grande rettile. Invece la vertebra, perfettamente conservata in 3D, manca soltanto della spina neurale e di una articolazione sul lato destro". Rocambolesca la storia della scoperta del dinosauro Tito. Anni fa, Antonio Bangrazi, mentre costruiva un muretto a secco con massi recuperati da una parete rocciosa situata tra i comuni di Cave e Rocca di Cave, presso Palestrina (Roma), si accorse che alcuni blocchi sembravano contenere ossa fossilizzate. Ma non le mostrò a nessuno fino all’estate del 2012, quando l’amico Gustavo Pierangelini, fortemente incuriosito, riuscì a fotografarle e ad inviarle per email a Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano (Msnm), per una valutazione paleontologica preliminare. "Confermai subito la presenza di ossa fossili, ma per capirne la forma e classificarle era necessario estrarle dalla roccia" dice Dal Sasso. Pertanto il ritrovamento fu notificato prima a Sandra Gatti, poi ad Alessandro Betori, funzionari della Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo, che autorizzarono le successive indagini e il deposito dei reperti presso il Msnm. Mesi fa, da uno dei blocchi affidati a Fabio Fogliazza del Laboratorio di Paleontologia del Msnm era emersa una vertebra quasi completa, che mostrava inequivocabili caratteri diagnostici: stava emergendo la carta d’identità di un dinosauro mai visto in Italia.












02/03/2016TROVATI I FOSSILI DEL PIU' ANTICO ABITANTE DELLE TERRE EMERSE

Fonte: LA REPUBBLICAAd individuare in Scozia e Svezia il Tortotubus descritto sulla rivista di botanica della Royal Linnean Society è stato Martin Smith, dell'università di Cambridge. Si tratta del più antico colonizzatore delle terre emerse. Inizialmente i fossili erano stati scambiati per un 'groviglio' di differenti filamenti di antichi funghi, per questo battezzato Tortotubus, ma una volta analizzati al microscopio questi resti hanno mostrato delle strutture molto simili a quelle presenti nei moderni funghi, ossia dei particolari filamenti, detti miceli, che permettono loro di assorbire i materiali in decomposizione. Proprio i miceli sarebbero stati la chiave per conquistare le terre emerse, all'epoca totalmente inospitali. Prima della colonizzazione della terra fuori gli oceani, avvenuta probabilmente tra 500 e 450 milioni di anni fa, il pianeta aveva un aspetto completamente differente dall'attuale. Il paesaggio era una brulla distesa di rocce e polveri inospitale che fu lentamente trasformato dall'azione di funghi e licheni. Aggredendo le rocce, queste semplicissime e antiche forme di vita portarono alla formazione di uno strato di terreno sempre più diffuso e ricco di nutrienti su cui poterono iniziare a sopravvivere le prime piante, gli alberi e infine gli animali. Probabilmente all'epoca dei Tortotubus alcune forme di vita avevano già iniziato a colonizzare le terre emerse da qualche milione di anni ma questi fossili permettono, per la prima volta, di gettare uno sguardo diretto su questo cruciale passaggio che permise alla vita di colonizzare l'intero pianeta. Un graduale processo di trasformazione di cui questi piccoli filamenti fossilizzati sono la più antica testimonianza.












14/02/2016IL CATALOGO DEI MINERALI RARISSIMI

Fonte: ANSASaranno pure il regalo perfetto per San Valentino, ma i diamanti non sono poi così unici e speciali come abbiamo sempre immaginato (ma saranno poi veramente un regalo perfetto?!? la Terra è in realtà piena zeppa di diamanti che sono fatti di carbonio puro quindi assolutamente di un elemento comunissimo e molto banale - N.d.R.). Per rendersene conto basta sfogliare il primo catalogo di tutti i minerali più rari del pianeta: sono 2.550 e ognuno di essi è estratto in meno di cinque siti al mondo. Alcuni sono disponibili in una quantità pari ad una zolletta di zucchero, altri non potrebbero mai diventare gioielli perché spariscono se esposti alla luce del Sole come dei veri vampiri. Tra le specie più rare anche una dalla Sardegna, la icnusaite, che conta un unico esemplare. "Se volete donare alla vostra amata un anello davvero raro, dimenticate i diamanti e offritele una icnusaite sarda", afferma ironicamente Robert Hazen, mineralologo del Carnegie Institution tra gli autori del catalogo. "Diamanti, rubini, smeraldi e altre gemme preziose si possono trovare in diverse località e sono vendute in quantità commerciali, dunque non sono rare nel senso che intendiamo noi", scrivono gli esperti sulla rivista American Mineralogist. Delle 5.090 specie di minerali conosciuti al mondo, meno di 100 formano il 99% della crosta terrestre. Il resto è rappresentato dai minerali più rari, che possono essere suddivisi in quattro categorie: quelli che si formano in condizioni di pressione e temperatura uniche, quelli che sono composti da elementi quasi impossibili da trovare nella crosta terrestre, quelli che vengono difficilmente campionati perché localizzati in luoghi estremi e difficili da raggiungere, e infine quelli che spariscono letteralmente con il sole, la pioggia o l'umidità. Il loro valore non è certamente economico, come nel caso dei diamanti o dei minerali usati in elettronica. La loro preziosità sta invece nel poter rivelare cosa succede al di sotto della superficie terrestre e come si è evoluta la vita sul nostro pianeta. Due terzi dei minerali noti "e la gran parte dei minerali più rari, sono infatti legati a modificazioni biologiche", concludono i ricercatori.












30/04/2015SCOPERTO UN DINOSAURO PIPISTRELLO

Fonte: BLITZ QUOTIDIANOScoperti i resti fossili del primo dinosauro-pipistrello. Vissuto in Cina 160 milioni di anni fa, era dotato di ali membranose che gli consentivano di compiere piccoli voli tra gli alberi alla ricerca di prede. Per questa sua inedita caratteristica anatomica, i paleontologi cinesi autori del ritrovamento lo hanno battezzato Yi qi (strana ala, in mandarino) e su Nature lo presentano come un esperimento fallito dell’evoluzione. Grande quanto un piccione e con il corpo ricoperto di piume, Yi qi appartiene ad un misterioso gruppo di piccoli dinosauri carnivori noti come Scansoriopterigidi: sebbene fosse nota da tempo la loro stretta parentela con gli uccelli più primitivi (come il famoso Archaeopteryx), finora non erano state trovate prove che dimostrassero la loro capacità di spiccare il volo. Ora questa ipotesi riprende quota proprio grazie ai resti di ali membranose ritrovati nei fossili del dinosauro pipistrello. Le sue vele, mai osservate prima d'ora in un dinosauro, erano appese ad un lungo osso che si dipartiva dal polso delle zampe anteriori. Sebbene sia impossibile definire con certezza la loro forma e le dimensioni, i paleontologi sostengono che potevano essere sbattute per volare, proprio come fanno i pipistrelli, oppure potevano essere usate per planare, come fanno gli scoiattoli volanti. "Non sappiamo se Yi qi sbatteva le ali o planava – commenta il coordinatore dello studio Xu Xin, dell'Istituto di paleontologia dei vertebrati e paleoantropologia di Pechino – ma sappiamo che ha sviluppato un'ala che è unica nella transizione dai dinosauri agli uccelli".












20/04/2015TROVATE UOVA DI DINOSAURO SOTTO L'ASFALTO

Fonte: LA REPUBBLICAUna scoperta straordinaria quella effettuata in un cantiere cinese a Heyuan, nella provincia meridionale di Canton: si tratta di 43 uova di dinosauro portate alla luce da un gruppo di archeologi che hanno impiegato due ore per dissotterrare il nido contenente i fossili, 19 dei quali intatti, come riferisce il People's Daily Online. "Si tratta di uova con un diametro di 13 centimetri", ha riferito Du Yanli del museo dei dinosauri di Heyuan, dove sono stati trasferiti i reperti fossili. Ora i ricercatori indagheranno per stabilire a quale tipologia di dinosauro appartengano le uova. Dal 1996, quando un gruppo di bambini trovo alcuni fossili, nella città sono state trovate quasi 17mila uova del genere. Nel 2005 il museo di Heyuan si è aggiudicato il Guinness dei primati con i suoi 10.008 fossili di uova di dinosauro, la più grande collezione del genere al mondo.












03/04/2015RESTI DI ELEFANTE NANO NELLA FINESTRA DELL'OSPEDALE

Fonte: GIORNALE DI SICILIAResti fossili di elefante nano (Elephas Falconeri) sono stati scoperti negli stipiti delle finestre dell'ospedale Paternò Arezzo di Ragusa Ibla, dal paleontologo Gianni Insacco, conservatore del Museo civico di storia naturale di Comiso. «Li ho notati nel dicembre scorso - racconta Insacco - durante le lunghe attese aspettando la nascita di mio figlio. Un giorno ho notato alcune inclusioni presenti nelle stipiti delle finestre rivestiti da lastre di travertino. C'era qualcosa di strano su quelle superfici. In effetti mi sono reso conto che in esse vi erano conservati dei resti fossili di elefante, in sezione: qualche molare, frammenti cranici e incisivi di elefante. Si tratta dell'Elephas falconeri o elefante nano di Sicilia, il più antico ed il più piccolo tra le due specie di elefante nano siciliano vissuto nel Pleistocene medio, circa 500.000 anni fa. Le lastre di travertino, molto probabilmente, provengono da Alcamo dove è conosciuta la presenza di resti fossili di Elephas falconeri, documentata sia dagli scalpellini di Alcamo, sia da un articolo scientifico di Burgio & Canì del 1988 pubblicato sul Naturalista Siciliano.












03/04/2015I PRIMI GIOIELLI

Fonte: LA PRESSE.ITUtilizzando artigli di aquila l'uomo di Neanderthal creò 130mila anni fa i primi gioielli, molto prima della comparsa dell'Homo sapiens. È la sorprendente scoperta dell'antropologa croata Davorka Radovcic, il cui lavoro è stato diffuso dalla rivista scientifica PLoS One. "Finora si credeva che i gioielli più antichi, trovati in Israele e nel sud dell'Africa, risalissero a circa 100mila anni fa, ma ora questa soglia si sposta indietro di circa 20-30mila anni", ha spiegato all'agenzia EFE la giovane scienziata. "La cosa ancora più importante" è che "il fenomeno è ora associato agli uomini di Neanderthal", ha spiegato Radovcic, che lavora al Museo di storia naturale della Croazia. Alcuni segni su artigli di aquila di mare dimostrano che furono legati e utilizzati come collane, bracciali o altri ornamenti simili. Si tratta di fossili di artigli trovati 115 anni fa in uno dei principali siti dell'uomo di Neanderthal nella cava di Husnjakovo, nel nord della Croazia. Alcuni esperti sostenevano che l'uomo di Neanderthal, spesso immaginato con atteggiamenti animali e di scarsa intelligenza, non avesse le capacità simboliche necessarie a sviluppare gioielli. "Il ritrovamento di questo ornamento - ha detto Radovcic - mostra un certo livello di conoscenza astratta e indica la possibilità di conoscenza di simboli, segni e linguaggio". "Quello che ha catturato la mia attenzione - ha spiegato la scienziata - è stato il fatto che ho notato delle incisioni antropiche, opera di mani umane, sugli artigli dell'aquila". Radovcic ha di seguito riunito un gruppo di esperti, che hanno analizzato tutti i fossili di uccelli trovati nella cava di Husnjakovo. Studi recenti hanno indicato che gli uomini di Neanderthal seppellivano i loro morti, svilupparono una tecnica avanzata di produzione di utensili di pietra e possibilmente usavano qualche tipo di linguaggio per comunicare.












31/03/2015UN NUOVO STRATO ALL'INTERNO DELLA TERRA

Fonte: WIRED.ITCrosta, mantello, nucleo esterno e nucleo interno: la Terra, anatomicamente parlando è fatta così, abbiamo imparato dagli insegnanti di scienze. Eppure qualcosa sembrerebbe essere sfuggito ai geologi fino a oggi: il nostro pianeta avrebbe infatti uno strato in più, duro e collocato più o meno intorno alla metà del mantello. A suggerirne l’esistenza sono due ricercatori, Hauke Marquardt e Lowell Miyagi, che raccontano della loro scoperta sulle pagine di Nature Geoscience. La Terra ha molti strati, come una cipolla”, spiega Miyagi della Utah University: “La maggior parte degli strati è definita dai minerali che sono presenti. E noi, in sostanza, abbiamo scoperto un nuovo strato che non è definito tanto dai minerali presenti, quanto dalla forza di questi minerali”. Tutto è cominciato da un’osservazione di qualche tempo fa, ricorda Popscience: il movimento (subduction) delle placche tettoniche che sembra bloccarsi (come ristagnare, dicono i ricercatori) a una profondità di circa 1500 km, senza un motivo apparente. Per inviduarne le ragioni, e non potendo osservare direttamente nella profondità del mantello né contare, per ragioni di tempo, sullo studio dei movimenti delle placche tettoniche (apprezzabili su lunghissime scale), gli scienziati hanno realizzato un piccolo modello dell’interno della Terra in laboratorio. In particolare l’idea è stata quella di prendere le rocce che costituiscono il mantello e di applicare a queste una notevole pressione, grazie a una pressa nota come “incudine di diamanti”. Applicando la pressione stimata esserci nel mantello inferiore ai minerali in questione (magnesiowüstite e Bridgmanite) la viscosità delle rocce cresceva a dismisura, diventando 300 volte tanto quella presente nella parte superiore (per fare un confronto più generico: se la viscosità dell’acqua è 0,001 pascal per secondo, quella di questo strato è di circa mille miliardi di miliardi). Un risultato sorprendente, ha spiegato Miyagi, e che potrebbe essere il fattore responsabile del blocco del movimento di subduzione della placche tettoniche. Sotto questo strato invece – di cui i ricercatori ne hanno studiato le caratteristiche grazie ai raggi X prodotti dall’acceleratore Lawrence Berkeley National Laboratory in California – il mantello inferiore diventa meno duro, con gli atomi dei minerali che possono muoversi più facilmente, spiegano i ricercatori. Questo strato particolarmente viscoso, conclude poi Miyagi, potrebbe spiegare l’esistenza di molti terremoti profondi, ma anche i diversi tipi di magma osservati per i vulcani sottomarini, e ancora funzionare come un contenitore del calore terrestre, che potrebbe essere quindi maggiore di quel che crediamo.












19/03/2015GLI ANIMALI PIU' STRANI MAI SCOPERTI

Fonte: LE SCIENZEGli "animali più strani mai scoperti", come li definì Darwin, che aveva trovato i loro fossili in Sud America 180 anni fa, sono stati finalmente classificati: erano perissodattili, cioè lontani parenti dei cavalli. Per definire la loro posizione evolutiva è stato necessario analizzare le tracce di collagene ancora presenti in quelle ossa e ricostruirne l'esatta composizione, perché il DNA antico rinvenuto era troppo degradato. Dopo quasi 180 anni è stato risolto il mistero della collocazione tassonomica di quelli che Charles Darwin aveva definito gli "animali più strani mai scoperti", un gruppo di mammiferi sudamericani estinti che secondo alcuni scienziati erano imparentati con i perissodattili - l'ordine che comprende cavalli, rinoceronti e tapiri – mentre per altri andavano inseriti fra gli afroteri, una linea evolutiva che ha avuto origine in Africa (da cui il nome) alla quale appartengono i proboscidati, le procavie, i sirenidi (dugonghi e lamantini), i tubulidentati (oritteropo) e i macroscelidi (tenrec riccio, tenrec toporagno e talpe dorate). A dirimere la questione è stato un gruppo internazionale di ricercatori che in un articolo pubblicato su “Nature” spiegano come sono riusciti a classificarli fra i perissodattili, superando le difficoltà che finora avevano bloccato paleontologi e genetisti. Risolto il mistero degli ungulati estinti del Sud AmericaRicostruzione di due esemplari di Macrauchenia patachonica."La collocazione di questi animali sudamericani nell'albero genealogico dei mammiferi è sempre stata una grande sfida per i paleontologi, perché anatomicamente erano strani mosaici, esibivano caratteristiche che si ritrovano in una grande varietà di specie del tutto indipendenti una dall'altra e che vivono in luoghi completamente diversi", spiega Ross MacPhee, dell'American Museum of Natural History e coautore dell'articolo. Ma i fossili di questi animali, gli ultimi dei quali scomparsi solo 10.000 anni fa, avevano finora tenuto in scacco anche i ricercatori che come Ian Barnes – del Natural History Museum e coautore dello studio – avevano in precedenza tentato di stabilirne le parentele attraverso l'analisi del DNA. Il materiale genetico estratto da quei fossili, rimasti sepolti in terreni di regioni dal clima caldo e umido, era risultato troppo degradato per dare delle risposte. Risolto il mistero degli ungulati estinti del Sud AmericaRicostruzione di Toxodon platensis. (Cortesia Peter Schouten, tratto da Biggest, Fiercest, Strangest di Peter Schouten ,W. Norton Publishers, in corso di stampa)La svolta è arrivata quando i ricercatori sono passati dall'analisi del DNA a quella del collagene, una proteina strutturale che si trova in tutte le ossa animali e che è in grado di resistere sostanzialmente integra anche per un milione di anni e in una vasta gamma di condizioni. "In passato si è riusciti a recuperare sequenze di collagene da campioni risalenti anche a 4 milioni di anni fa, ma in teoria per il materiale recuperato dal permafrost, si potrebbe risalire fino a 10 milioni di anni fa", spiegano gli autori. Dato che la struttura chimica degli amminoacidi che compongono una proteina è dettata da specifiche sequenze codificanti del DNA dell'organismo, confrontando la composizione in aminoacidi di una proteina nelle diverse specie si possono ricavare informazioni utili a stabilire quanto strettamente imparentate esse siano. Per questa analisi proteomica i ricercatori hanno utilizzato 48 fossili di Toxodon platensis e di Macrauchenia patachonica, le specie scoperte da Darwin in Uruguay e Argentina. I dati ottenuti indicano che queste due specie erano ungulati perissodattili discendenti da antichi ungulati provenienti dal Nord America più di 60 milioni di anni fa, probabilmente subito dopo l'estinzione di massa dei dinosauri e di molti altri vertebrati. Tuttavia, dato che questi antichi mammiferi sudamericani formavano un gruppo molto ampio e vario – avvertono gli autori - non si può ancora sapere se altre specie avessero la stessa origine o appartenessero ad altri lignaggi non ancora studiati dai ricercatori.












09/03/2015AUSTRALOPITECUS E HOMO

Fonte: GAIA NEWSSecondo quanto pubblicato il 4 marzo scorso dalla rivista Science, una mandibola fossile, trovata durante una ricerca nell’area di Ledi-Geraru, nello stato di Afar, in Etiopia, induce a retrodatare nel tempo la prova più antica in assoluto della comparsa del genere Homo sulla Terra, portandola a 2,8 milioni di anni fa. Questa mascella ha 400mila anni in più dei fossili finora conosciuti appartenenti al genere Homo, ed è stata scoperta nel 2013 da un team internazionale guidato dagli scienziati Kaye E. Reed, Christopher J. Campisano e J.Ramòn Arrowsmith, dell’Arizona State University (ASU) assieme a Brian A.Villmoare, della University of Nevada, Las Vegas. Per decenni gli scienziati hanno cercato fossili che potessero documentare le prime tracce della comparsa del genere Homo, ma gli esemplari recuperati e datati nell’intervallo di tempo tra i 3 e i 2,5 milioni di anni fa sono stati pochissimi e mal conservati. Come risultato, gli studiosi non hanno mai trovato un accordo sul periodo in cui ebbe origine il lignaggio umano che ha prodotto gli esseri umani moderni. Con la nuova assegnazione a 2,8 milioni di anni, considerando le modifiche della mascella e dei denti, il fossile di Ledi-Geraru fornisce sufficienti indizi perché lo si possa ritenere come appartenente al genere Homo, la cui comparsa viene così ad accorciare le distanze, portandole a soli 200mila anni, dall’esistenza dell’Australopithecus afarensis (cioè, ‘Lucy’) nel vicino sito etiope di Hadar. Rinvenuto da Chalachew Seyoum, ricercatore del team dell’ASU, il fossile di Ledi-Geraru consiste della parte sinistra di una mandibola e di cinque denti. Le analisi fossili, condotte da Villmoare e William H. Kimbel, quest’ultimo direttore dell’Institute of Human Origins presso l’ASU, hanno messo in luce caratteristiche avanzate, come i molari sottili, i premolari simmetrici e la mascella uniformemente proporzionata; tutti caratteri distintivi del genere Homo, la cui specie più vicina all’età del reperto di Ledi fu Homo habilis (2 milioni di anni fa), rispetto al più scimmiesco, nonché più antico, Australopithecus. L’inclinazione del mento, dall’aspetto sfuggente, collega invece il fossile ad un antenato dai caratteri australopitecidi, somigliante a ‘Lucy’. “Nonostante le molte ricerche, i fossili di Homo di età più antica di 2 milioni di anni fa sono molto rari”, conferma Villmoare. In un servizio sulla rivista Nature, Fred Spoor, docente di Anatomia e Paleontologia dei mammiferi all’ University College London, presenta una nuova ricostruzione della mandibola deformata, datata 1,8 milioni di anni, attribuita al rappresentante tipico della specie Homo habilis rinvenuto ad Olduvai Gorge (Tanzania), che si collega molto al fossile di Ledi. “La mascella di Ledi riduce molto l’intervallo evolutivo tra Australopithecus e Homo”, constata Kimbel. “E’ un ottimo caso di ‘fossile di transizione’ di un periodo di tempo alquanto critico nell’evoluzione umana”. Il cambiamento climatico che portò verso una maggiore aridità in Africa attorno ai 2,8 milioni di anni fa è stato spesso chiamato in causa per aver favorito la comparsa e la scomparsa di specie animali, tra cui potrebbe includersi la nascita del genere Homo. Forse non è un caso che altri studiosi abbiano riscontrato un avvicendamento nelle popolazioni dei mammiferi coeve con la mascella di Ledi e coerenti con un habitat caratterizzato da erbe e vegetazione bassa rispetto all’ habitat forestale in cui avevano vissuto gli australopitechi, come il sito di Hadar, che aveva ospitato Lucy . “Possiamo constatare che l’aridità climatica di 2,8 milioni di anni fa è conciliabile con la comunità faunistica di Ledi-Geraru”, afferma Kaye Reed, co-autore del team di ricerca. “ma è ancora troppo presto per affermare che il cambiamento climatico sia stato il responsabile dell’origine di Homo. Per tirare le conclusioni è necessario trovare qualche altro fossile di ominide. Ed è per questo che la ricerca deve proseguire”.












25/02/2015UNA NUOVA BANCA DATI ONLINE

Fonte: ANSANasce una nuova banca dati online dei fossili, che permetterà alla comunità scientifica internazionale di accedere gratuitamente alle informazioni relative a reperti da tutto il mondo per regolare le 'lancette' dell'evoluzione delle specie animali e vegetali. Questo archivio, chiamato Fossil Calibrations Database, è stato sviluppato da venti ricercatori tra paleontologi, biologi molecolari e informatici di cinque Paesi, che lo presentano in un articolo pubblicato sulla rivista Palaeontologia Electronica. ''I fossili ci forniscono i dati cruciali per stabilire la cronologia con cui si sono susseguite le principali tappe dell'evoluzione'', spiega il coordinatore del progetto Daniel Ksepka, curatore scientifico al Bruce Museum di Greenwich. ''Questa nuova risorsa - continua Ksepka - ci darà le informazioni necessarie per calibrare gli 'orologi molecolari' che possono svelare le età di gruppi di piante e animali di cui non abbiamo resti fossili ben conservati''. Si potrà avere così un quadro più preciso sull'origine e l'evoluzione della biodiversità, ''cosa resa impossibile finora dall'uso inappropriato dei dati ricavati dai fossili'', come spiega James Parham, curatore del Centro archeologico e paleontologico John D. Cooper ad Orange County, in California. ''Ci sono spesso discrepanze tra i tempi evolutivi dedotti dalla biologia molecolare che studia il Dna e i tempi assoluti indicati dalle specie fossili'', precisa il paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano. ''Un unico database comparavivo - prosegue - permetterà di calibrare meglio gli uni sugli altri''. Iniziative simili ci sono già state, come ricorda Maurizio Casiraghi, presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica (Sibe): ''sebbene introducano delle semplificazioni, sono utili sia agli addetti ai lavori sia agli appassionati, che possono trovare del materiale 'certificato' da team di esperti''. ''Ben venga un archivio che mette i dati a disposizione di tutti - gli fa eco il paleontologo Andrea Tintori dell'Università degli Studi di Milano - purchè chi li produce sia una fonte qualificata e non autoreferenziata''.












05/02/2015NUOVO RETTILE MARINO FOSSILE

Fonte: METEOWEB.EUL’esame di alcuni reperti fossili ritrovati nel sud degli Urali ha permesso di accertare l’esistenza di una nuova specie di rettile marino, vissuto 70 milioni di anni fa e fino ad ora sconosciuta agli scienziati. I fossili sono stati scoperti nel 2012 da un gruppo di giovani geologi nella regione di Orenburg: lo studio dei reperti potrebbe condurre a nuove scoperte sull’evoluzione della specie e sul suo habitat nel Cretaceo. Il rettile è stato battezzato “Polycotylus Sopotsko”, dal nome della direttrice del club di geologia.












05/02/2015UN CRANIO DI 55.000 ANNI FA

Fonte: GAIANEWS.ITLa scoperta nel Nord di Israele di un cranio parziale risalente a 55mila anni fa fornisce nuove informazioni sulla migrazione degli esseri umani moderni dall’Africa. I risultati della scoperta sono stati riportati sulla rivista Nature di questa settimana da un team internazionale composto da ricercatori israeliani, nordamericani ed europei. Un evento chiave dell’evoluzione umana è stata l’espansione dell’uomo moderno di origine africana in tutta l’Eurasia. Homo sapiens – è di lui che si parla – andò a sostituire gradualmente ogni altra forma di ominide al di fuori dell’Africa, intorno ai 50-60mila anni fa. Tuttavia, a causa della scarsità di resti fossili umani di quel periodo, questi lontani antenati di tutte le popolazioni odierne non africane sono in gran parte avvolti nel mistero. Se da un verso, esistono reperti fossili che dimostrano che alcuni gruppi anatomicamente moderni raggiunsero il cosiddetto ‘corridoio levantino’, l’attuale Medio Oriente, attorno ai 100mila anni fa, di contro, le analisi genetiche indicano che le attuali popolazioni non africane discendono da un singolo gruppo migrato dall’Africa attorno ai 60-70mila anni fa. Perché questo vuoto di oltre 30mila anni? La recente scoperta fatta in Israele potrebbe dare una risposta assolutamente convincente. I ricercatori descrivono, infatti, un cranio parziale risalente a circa 55mila anni fa, rinvenuto in Israele, nella grotta Manot, situata nella Galilea occidentale. La grotta Manot fu scoperta nel 2008 durante alcuni lavori di costruzione da parte di alcuni operai edili, che avevano danneggiato la volta della grotta con un bulldozer, rivelando una vera e propria ‘capsula del tempo’. Di fatto, frane e stalagmiti avevano sigillato l’apertura della grotta per almeno 15mila anni. Il Cave Research Center dell’Università Ebraica di Gerusalemme, condusse allora un sondaggio iniziale della grotta, riportando alla luce dei resti archeologici. Ora, il prof. Israel Hershkovitz, dell’Università di Tel Aviv, ha condotto lo studio antropologico di un cranio, rinvenuto durante gli scavi effettuati dallo studioso assieme agli antropologi Ofer Marder, dell’Università Ben-Gurion e al dr Omry Barzilai, della Israel Antiquities Authority. Il cranio presenta una distinta protuberanza, definita ‘a forma di panino’, posta sull’estremità della regione occipitale, ricordando, nella forma, i moderni crani africani ed europei, ma differenziandosi da altri esseri umani anatomicamente moderni del Medio Oriente. Questo suggerisce che gli individui della grotta Manot potrebbero essere strettamente correlati con i primi esseri umani moderni e con i neanderthaliani che popolavano il Levante meridionale durante il Pleistocene superiore, molto vicini al momento della probabile ibridazione tra Sapiens e Neanderthal. Questa scoperta rappresenta la prima prova fossile del periodo in cui i modelli genetici e archeologici collocano la migrazione degli esseri umani moderni dall’Africa e la loro colonizzazione dell’Eurasia e al tempo stesso rappresenta anche la prima prova fossile che nel Tardo Paleolitico medio, il Levante fosse occupato non solo dai Neanderthal, ma anche dai Sapiens. I ricercatori ipotizzano che la popolazione di appartenenza del cranio era sicuramente migrata da poco dall’Africa e si era fermata nel ‘corridoio levantino’ per un arco di tempo abbastanza lungo, probabilmente sfavorevole al proseguimento della diffusione verso altri siti a causa di eventi climatici avversi, caldi e umidi, che interessarono il Sahara del Nord e il Mediterraneo. Con questa scoperta e l’ipotesi prospettata, verrebbe a colmarsi quel vuoto di 30mila anni che finora era rimasto alquanto enigmatico.












09/01/2015UNA ROCCIA CON 30000 DIAMANTI

Fonte: GAIANEWS.ITIl rinvenimento è avvenuto nella miniera russa di Udachnaya, nella Siberia settentrionale. Un frammento di roccia, delle dimensioni di una pallina da golf, contiene infatti più di 30mila diamanti, ognuno dei quali più piccolo di un millimetro, brillante e puro, anche se presenta inclusioni di granato rosso e verde assieme ad altri minerali. La compagnia russa di diamanti ALROSA ha consegnato il campione al professor Larry Taylor, docente di Scienze Planetarie e della Terra presso l’Università del Tennessee, Knoxville, che ora, con un team di ricercatori dell’Accademia Russa delle Scienze, sta studiandola a fondo la roccia per conoscere meglio la genesi dei diamanti. I geologi sanno infatti che i diamanti si formano all’interno della Terra, a profondità non inferiori ai 150 chilometri, direttamente nel mantello – dove gli altissimi valori di pressione e di temperatura fanno sì che gli atomi di carbonio si dispongano nei reticoli cristallini, unendosi in legami strettissimi tra atomi, i legami chiamati covalenti, che conferiscono ai diamanti la particolare durezza – e quindi vengono poi trasportati in superficie da particolari eruzioni vulcaniche. Tuttavia, sanno anche che la maggior parte delle rocce provenienti dal mantello si sbriciolano durante il percorso. Il campione di roccia della miniera russa è solo uno tra le centinaia rinvenuti in cui i diamanti mantengono ancora la configurazione in cui si sono formati nelle viscere della Terra. 'E’ una meraviglia, perché questa roccia ha più di 30mila minuscoli e perfetti diamanti, nella caratteristica forma ottaedrica, tutti di dimensioni comprese tra 10 e 700 micron; nessuno più grande', afferma Taylor. 'I diamanti non cristallizzano in maniera così omogenea come questi. Normalmente, questo avviene in rari casi, prima che si accrescano. In questa roccia è come se non avessero avuto il tempo di fondersi in cristalli più grandi'. Taylor e i suoi colleghi hanno esaminato il campione con una apposita apparecchiatura a raggi X per studiare la struttura dei cristalli e le loro relazioni con i minerali associati, indagando sugli elettroni dei minerali presenti all’interno dei diamanti – le cosiddette ‘inclusioni’ – per studiare i rapporti delle sostanze chimiche rimaste inglobate. Questo ha originato immagini bi e tridimensionali che hanno rivelato le relazione tra i minerali. La presenza di azoto indicherebbe che i diamanti si sono formati a temperature molto più elevate del normale, utilizzando anche tempi più lunghi del normale. Le immagini hanno mostrato isotopi di carbonio – vale a dire atomi con massa diversa – anomali per questo tipo di roccia, a indicare che originariamente doveva far parte della crosta terrestre e che solo in un secondo tempo, asportata con tutta probabilità dagli spostamenti tettonici, di nuovo ingerita nel mantello e trasformata nella roccia brillante che vediamo oggi. 'Questi sono risultati nuovi ed entusiasmanti, prove di particolari meccanismi che avvengono nella genesi dei diamanti in genere', afferma Taylor, che ha presentato gli esiti di questi studi alla Conferenza annuale della American Geophysical Union di S.Francisco, California.












08/01/2015FORESTA FOSSILE IN ANTARTIDE

Fonte: REPUBBLICA.ITNumerosi tronchi, quasi tutti allineati e molti dei quali carbonizzati, sono quello che resta di una foresta esistita in Antartide all'incirca 250 milioni di anni fa, in pieno Triassico. A scoprire la foresta fossile tra i ghiacci è stato il gruppo di ricerca dell'università di Siena che fa capo al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra). Gianluca Cornamusini, Matteo Perotti, Sonia Sandroni e Franco Talarico hanno scoperto i tronchi fossili sul rilievo chiamato Allan Hills, al confine con il plateau antartico orientale. 'Molti erano carbonizzati sul lato esposto in superficie ed inoltre erano tutti allineati', scrive Talarico. 'Altri tronchi erano invece completamente carbonizzati' e 'la grande quantità di tronchi fossili carbonizzati testimonia, con grande probabilità, la diffusione di enormi incendi che avrebbero totalmente devastato la foresta triassica per un'area vastissima'. E' una storia suggestiva, quella che emerge dai ghiacci. Tante, al momento, le ipotesi sulle possibili cause degli incendi che hanno distrutto quell'antichissima foresta. 'Una risposta - scrivono i ricercatori - è che siano stati innescati da eruzioni vulcaniche, mentre un'altra risposta, più suggestiva, ma totalmente da documentare, è che gli incendi possano essere dovuti all'impatto di un asteroide, che avrebbe prima abbattuto gli alberi della foresta orientandoli, e poi li avrebbe incendiati in toto o sulle parti esposte in superficie non affogate e protette nei sedimenti'. Obiettivo della campagna di ricerca, che si concluderà il 5 febbraio, è ricostruire la storia geologica di un'ampia regione dell'Antartide, per ottenere indicazioni importanti sulla storia geologica dell'intero pianeta.












05/11/2014L'EMATITE DI MARTE

Fonte: MEDIA INAFCuriosity, il rover della NASA lanciato nel novembre 2011 nell’ambito della missione Mars Science Laboratory, continua indisturbato la sua passeggiata sul Pianeta rosso alle pendici del Monte Sharp, dove è arrivato a metà settembre. Proprio al centro del cratere Gale, un mese e mezzo fa (al sol 762), il rover ha praticato il primo di numerosi fori con cui analizzerà le rocce di questa area e ha già effettuato i primi test della polvere rossa che ha prelevato. Per la prima volta dall’inizio della missione, i ricercatori del JPL di Pasadena (California) hanno avuto la conferma della presenza di un minerale particolare precedentemente mappato dall’orbita nel 2010. Il laboratorio su sei ruote della NASA ha letteralmente macinato un pezzo di roccia marziana per ottenere della polvere rossa, parte della quale è stata poi analizzata dallo strumento Chemistry and Mineralogy (CheMin) installato dentro il rover. Il campione è stato estratto da una zona chiamata Confidence Hills all’interno del corridoio roccioso Pahrumo Hills, scelto dal team proprio perché di grande interesse scientifico. I ricercatori hanno scoperto che il campione contiene un quantitativo di ematite (un minerale ricco di ossido di ferro) superiore a qualsiasi altro campione analizzato nei due anni di missione. Questo minerale fornisce indizi sulle antiche condizioni ambientali del pianeta Marte al momento della sua formazione. Già quattro anni fa, uno strumento di mineral-mapping montato a bordo della sonda della NASA Mars Reconnaissance Orbiter aveva fornito le prove della presenza di ematite nell’affioramento di Pahrump Hills. Ed era stata proprio la presenza di questo materiale a portare gli esperti a scegliere il cratere Gale come obiettivo principale della missione di Curiosity. Si tratta di un bacino da impatto di 154 chilometri con al centro una montagna alta 5,5 chilometri che verrà scalata dal rover. «Siamo arrivati a un punto tale che i dati provenienti dall’orbita ci possono aiutare a prevedere con precisione dove indirizzare le missioni e a fare scelte giuste per le trivellazioni», ha detto Ralph Milliken, della Brown University. Durante il suo percorso fino al Monte Sharp, Curiosity ha indagato anche gli affioramenti rocciosi di Yellowknife Bay, nei pressi del sito di atterraggio (Bradbury station): le rocce prese a campione nei primi mesi di missione raccontano una storia diversa rispetto a quelle analizzate nelle ultime settimane. Frammenti estratti in precedenza conservano le prove di condizioni ambientali favorevoli alla vita microbiotica miliardi di anni fa, ammesso che Marte abbia mai avuto dei microbi. I minerali argillosi di interesse scientifico rilevati in quelle rocce non erano mai stati osservati dall’orbita. L’ematite trovata nell’ultimo campione descrive, quindi, perfettamente le differenze tra le rocce nel cammino che ha seguito il rover in questi anni. Ovviamente, nell’ultimo caso, il materiale roccioso deve aver interagito con l’acqua e l’atmosfera per raggiungere un maggior grado di ossidazione (per questo il colore rosso). Le rocce analizzate in precedenza contengono per lo più di magnetite. L’ultimo campione raccolto presenta circa l’8% di ematite e il 4% di magnetite. Le rocce perforate a Yellowknife Bay e sulla strada per il Monte Sharp contengono, invece, al massimo l’1% di ematite e quantità molto più elevate di magnetite.












25/09/2014SCOPERTI NUOVI ORGANISMI PLURICELLULARI

Fonte: NATURESono i microrganismi che popolavano la Terra 600 milioni di anni fa. Sono totalmente diversi da qualsiasi altro essere vivente attuale e la loro storia è un enigma. Di certo, secondo i ricercatori che li descrivono sulla rivista Nature, appartenevano a un gruppo diverso da quello degli antenati comuni agli esseri che oggi vivono sul nostro pianeta. Sono stati scoperti nella Cina meridionale, nella zona chiamata Formazione Doushantuo, dal gruppo coordinato da Shuhai Xiao, del dipartimento di Geoscienze del Virginia Tech, del quale fanno parte ricercatori dell'Accademia Cinese della Scienze. I fossili sono minuscole sfere assemblate all'interno di un'unica sfera e ricordano l'aspetto di una cellula nel piano del processo di divisione. Erano composti da più cellule e probabilmente appartenevano a un gruppo di animali vissuto prima della grande esplosione di vita del Cambriano, il periodo compreso fra 485 e 2 milioni di anni fa nel quale è comparso un grandissimo numero di specie. Secondo i ricercatori i fossili a forma di sfera non possono essere considerati progenitori di nessuna specie attualmente esistente. Sono invece l'occasione per gettare uno sguardo sull'evoluzione dei primissimi esseri multicellulari complessi comparsi sulla Terra. Sono anche diversi dagli altri organismi scoperti in passato nella stessa regione, celebre per l'abbondanza di microfossili, e che potrebbero appartenere a gruppi noti di viventi, come batteri, alghe e perfino embrioni di animali. I nuovi fossili non sembrano essere nulla del genere, ma di certo - osservano i ricercatori - erano organismi complessi, con cellule capaci di differenziarsi e di programmare la loro morte, cellule germinali destinate alla riproduzione. Non erano quindi forme di vita elementari come i batteri, ma qualcosa di molto più vicino agli organismi multicellulari più complessi. Adesso la sfida è riuscire a trovare loro un posto nell'albero dell'Evoluzione.

Uno dei microrganismi vissuti 600 milioni di anni fa, dal diametro di 0,7 millimetri











18/09/2014L'EVOLUZIONE DELLE PIANTE DOPO L'ESTINZIONE DEI DINOSAURI

Fonte: LE SCIENZEL'impatto dell'asteroide che 66 milioni di anni fa diede fine al 70 per cento delle specie sulla Terra, compresi i dinosauri, produsse una selezione delle piante allora presenti sul pianeta, favorendo le piante decidue che, grazie alla loro rapida crescita, riuscirono ad adattarsi alla variabilità del clima meglio delle sempreverdi e finirono per sostituirle. La scoperta grazie allo studio di circa 1000 foglie fossili risalenti al Cretaceo. Le piante decidue, che perdono le foglie in autunno, riuscirono a sopravvivere meglio delle sempreverdi al terribile impatto dell'asteroide che provocò la scomparsa l'estinzione dei dinosauri sulla Terra. Lo ha stabilito un nuovo studio di un gruppo di ricercatori dell'Università dell'Arizona guidati da Benjamin Blonder, che firma un articolo sulla rivista "PLoS Biology". La grande estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene verificatasi 65,95 milioni di anni fa riguardò circa il 70 per cento delle specie marine e terrestri, compresi i dinosauri, che avevano dominato il pianeta nel corso dei precedenti 135 milioni di anni. L'evento fu provocato quasi certamente dalla caduta di un enorme asteroide del diametro di 10-12 chilometri, che liberò un'energia pari a 100 milioni di megatoni, cioè circa 10 miliardi di volte superiore all'ordigno nucleare di Nagasaki, e produsse un cratere di 150 chilometri di diametro, scoperto alcuni anni fa sotto la superficie della penisola dello Yucatan, in Messico. Ma che cosa è successo alle piante di cui si cibavano i dinosauri? Lo hanno scoperto Blonder e colleghi analizzando circa 1000 foglie fossili raccolte in un sito del North Dakota, in uno strato litico noto come Formazione di Hell Creek, risalente al Cretaceo. Applicando una serie di formule biomeccaniche ai dati ricavati dai fossili, gli autori hanno ricostruito l'ecologia di una famiglia di piante molto diversificate vissute per un periodo di 2,2 milioni di anni all'epoca dell'estinzione di massa, cioè negli ultimi 1,4 milioni di anni del Cretaceo e nei primi 800.000 anni del Paleocene. Gli autori hanno trovato le prove che dopo l'impatto, le angiosperme decidue, cioè che perdono le foglie a un certo punto dell'anno, e che sono caratterizzate da una rapida crescita, sostituirono gran parte delle sempreverdi, a lenta crescita. Se si pensa a un'estinzione di massa causata da un evento catastrofico come l'impatto di un meteorite, s'immagina che tutte le specie abbiano avuto la stessa probabilità di estinguersi: il nostro studio fornisce la prova di un drastico spostamento nella diffusione delle piante dalle specie a crescita lenta a quelle a crescita rapida, ha spiegato Blonder. Ciò indica che l'estinzione non fu casuale e che il modo in cui le piante si nutrono permette di prevedere in che modo rispondano a un grande cambiamento ambientale, spiegando inoltre perché oggi esiste una preponderanza di foreste decidue sulle sempreverdi. Il risultato è coerente con le prove di un drastico abbassamento della temperatura causato dalla polvere diffusa nell'atmosfera in seguito all'impatto. L'ipotesi più probabile è che questo 'inverno da impatto' fu caratterizzato da un clima molto variabile, ha aggiunto Blonder. Questo può aver favorito le piante che crescono in fretta e possono trarre vantaggio da condizioni che cambiano spesso, come le piante decidue.












12/09/2014ANCHE I DINOSAURI SAPEVANO NUOTARE

Fonte: RAI NEWSUn team di ricercatori ha rinvenuto in Marocco lo scheletro parziale di uno spinosauro, una scoperta che dimostra che i rettili potevano essere ottimi nuotatori e smentisce il luogo comune secondo il quale gli animali estinti milioni di anni fa sarebbero stati a proprio agio solo sulla terraferma. In un articolo pubblicato sulla rivista Science, il team di ricercatori che ha scoperto i fossili nel nord dell'Africa spiega che il predatore semi-acquatico sarebbe stato lungo più di 15 metri, quasi 3 metri in più di un qualsiasi T-Rex. La squadra ha dissotterrato un gigante dei tempi profondi appartenuto a un mondo sepolto da 95 milioni di anni, sottolinea Nizar Ibrahim, palenteologo dell'Università di Chicago. I tratti anatomici della creatura sembrerebbero sconcertanti: spine di 2 metri nella schiena, artigli affilati, muso allungato con enormi denti conici. Ma la novità è l'adattabilità all'acqua, una scoperta che apre nuove piste di ricerca per l'intero settore della paleontologia. La struttura muscolare, evidenziano i ricercatori, ricorda quella poi sviluppata negli antenati delle moderne balene. La capacità di nuotare amplia il quadro di ipotesi sull'estinzione dei dinosauri, fin qui vincolate alla sola vita di terra come dichiara al Wall Street Journal Hans Sues, uno studioso dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington che non ha partecipato direttamente alla ricerca: il principio inedito di un dinosauro che nuota, sottolinea, potrà rivalutare diverse teorie sulla dispersione delle specie. In precedenza era stato ipotizzato che altri dinosauri potessero nuotare, come i sauropodi, ma le prove non erano state giudicate sufficienti.












20/08/2014HALLUCIGENIA

Fonte: SCIENZAMENTEHallucigenia, la creatura bizzarra che assomiglia ad un verme con gli artigli, è correlata ad un gruppo di animali moderni. Lo strano animale, il cui fossile é oggetto di mistero per i paleontologi sin dalla sua scoperta, grazie ai ricercatori dell’Università di Cambridge, ha finalmente una collocazione: appartiene dunque ai Onychophorans, vermi dotati di appendici che vivono nelle foreste tropicali. Analizzando l’artiglio del fossile misterioso, gli scienziati, hanno trovato un elemento comune con i Onychophorans, entrambi, infatti, sono costituiti da una sovrapposizione di strato della cuticola (un materiale duro simile alle unghie). Questa é la prova che il fossile appartiene ad un lontano parente dei Onychophorans, riferiscono i ricercatori sulla rivista Nature. L’Hallucigenia risale a circa 520 milioni anni fa, durante l’esplosione del Cambriano, un periodo che ha visto la nascita della maggior parte dei principali gruppi di animali moderni. I fossili analizzati provengono dal Burgess Shale, nelle Montagne Rocciose canadesi, uno dei più ricchi giacimenti di fossili del Cambriano; aveva una fila di aculei lungo tutta la schiena rigida, sette o otto paia di zampe che terminano con degli artigli e misurava tra i 5 – 35 millimetri di lunghezza. Quando furono scoperti i primi fossili, l’animale sembrava così bizzarro che confuse completamente gli esperti, i quali hanno scambiato gli artigli per delle gambe e le appendici per dei tentacoli disposti lungo tutta la schiena. Inoltre, hanno anche confuso la testa con la coda. Successivamente sono stati ritrovati in Cina anche altri fossili appartenenti a specie diverse.












19/08/2014CENTINAIA DI FOSSILI

Fonte: CENTRO METEO ITALIANOIncredibile scoperta nel Wyoming dove ai piedi delle montagne Bighorn, in una voragine enorme e rimasta inesplorata per oltre 30 anni, sono stati trovati i resti fossili di animali vissuti migliaia e decine di migliaia di anni fa. Tra questi ci sono il leone americano e il ghepardo americano, specie che in passato vivevano nel Nord America insieme ad altri animali che si sono estinti decine di migliaia di anni fa. La voragine, che si è formata per cause naturali almeno 25 mila anni fa, è stata scoperta dai paleontologi nel 1970 e da allora nessuno l’ha più esplorata. Al suo interno, a una profondità di 15 metri, gli esperti hanno trovato incredibili resti fossili di animali perfettamente conservati grazie alla temperatura particolarmente bassa, simile a quella di un frigorifero. Gli esperti che sono entrati nella grotta hanno spiegato che molti animali sono morti cadendo accidentalmente al suo interno e che potrebbero essere presenti anche reperti risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. Grazie a un finanziamento economico per i prossimi due anni, sarà possibile scavare nella voragine che nel frattempo è stata chiusa con una griglia di metallo, per preservare i resti fossili presenti al suo interno.












17/05/2014PATAGONIA, RITROVATI FOSSILI DEI DINOSAURI PIU' GRANDI DEL MONDO

Fonte: ANSASettantasette tonnellate di peso, 40 metri di lunghezza e 20 di altezza: sono le impressionanti misure di un dinosauro di cui sono stati trovati molti resti fossili nella Patagonia argentina. Secondo i paleontologi, citati dalla Bbc online, potrebbe essere la creatura più grande ad aver mai solcato la Terra. Il suo peso batterebbe di sette chili il record detenuto fino ad ora dall'Argentinasauro. Nel sito del ritrovamento, vicino La Flecha, sono state trovate circa 150 ossa fossili di sette esemplari. Gli esperti del Museo di paleontologia Egidio Feruglio ritengono che possa trattarsi di una nuova specie di Titanosauro, un enorme erbivoro risalente all'ultimo periodo Cretaceo. Nel sito del ritrovamento, vicino La Flecha, 250 chilometri a ovest di Trelew, sono state trovate circa 150 ossa fossili di sette esemplari, tutti "in ottime condizioni". La nuova specie, che risale a 95-100 milioni di anni fa, ancora non ha un nome: "Deve descrivere la sua grandiosità e ricordare sia la regione sia i proprietari della fattoria che hanno trovato i primi resti", hanno detto i ricercatori.












20/03/2014IL PARADOSSO DELL'APATITE LUNARE

Fonte: ISTITUTO NAZIONALE DI GEOFISICAScience intitola proprio così uno dei suoi articoli usciti oggi: The Lunar Apatite Paradox, rompicapo sull’apatite lunare con cui gli astronomi si scontrano da diverso tempo. E legato a una domanda cruciale: sulla Luna c’è o non c’è traccia di acqua? Questa ipotesi è stata avanzata a partire dall’analisi di un minerale di origine vulcanica, portato sulla Terra dalla missione Apollo 14 del 1971. La teoria però è molto più recente: nel 2010 uno studio pubblicato su Nature ha rivelato che questo minerale basaltico formato sotto la superficie del nostro satellite sarebbe entrato un tempo a contatto con l’acqua. In questi ultimi anni, osservazioni sperimentali hanno fatto pensare che l’apatite lunare e quella terrestre fossero prodotte in condizioni molto simili: anche sul nostro pianeta è infatti presente questo minerale (ad esempio, fanno parte della famiglia delle apatiti la clorapatite, la fluorapatite e l’idrossiapatite). Ma il nuovo studio appena pubblicato su Science sembra smentire questa ipotesi, rilevando che la formazione di apatite sul suolo lunare potrebbe essere molto più complessa di quello che si pensava. E soprattutto, potrebbe non essere del tutto chiaro. Partiamo dalle cose certe: l’apatite (sulla Luna o altrove) deriva da minerali idrati, ovvero con presenza di acqua al loro interno. Per poter diventare idrate, però, le rocce hanno bisogno di un elemento fondamentale: l’idrogeno. E qui iniziano i problemi. È quanto ha rilevato un modello costruito da un gruppo internazionale di ricercatori, capitanati da Jeremy Boyce dell’Università della California. Che ha scoperto una quasi totale assenza di idrogeno (il principale responsabile dell’acqua nell’apatite) nei minerali cosiddetti anidri (che invece sono poveri d’acqua). In altre parole, non è più chiaro da dove venga l’acqua dell’apatite: minerali poveri d’acqua non sono in grado di “lavorare” l’idrogeno in modo adeguato per “costruire” apatite ricca di idrogeno.Per scovare questo paradosso, Boyce e colleghi hanno preso in considerazione altri due elementi oltre all’idrogeno, il fluoro e il cloro. Dimostrando che nei minerali poveri d’acqua l’idrogeno non riesce a separarsi dal fluoro e dal cloro per produrre l’apatite. Occorrerà quindi costruire una nuova ipotesi sulla provenienza di questo misterioso minerale lunare. Almeno per scoprire definitivamente se davvero un tempo c’era acqua sul nostro satellite.












17/03/2014IL PIU' GRANDE RETTILE FOSSILE ITALIANO: SI TRATTA DI UN MOSASAURO

Fonte: PIANETA UNIVERSITARIO.COMIl merito della scoperta va al signor Paolo Giordani, cercatore amatoriale di fossili, che nel 2010 in una cava di Secchiano (Novafeltria) si imbatte in un grande blocco dal quale si intravedono imponenti denti fossilizzati. La segnalazione arriva all’attenzione del geologo Loris Bagli (conoscitore esperto dei siti geologici e paleontologici di Romagna e Marche) e a Maria Luisa Stoppioni del Museo della Regina di Cattolica che per primi si fanno garanti della tutela del reperto. <BR><BR> Poi la ricerca scientifica viene affidata a Federico Fanti del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna che oggi presenta, assieme ad Andrea Cau e Alessandra Negri, la pubblicazione scientifica sul ritrovamento nella rivista Cretaceous Research. Il team ha messo insieme diverse competenze per ottenere uno studio approfondito sia della successione sedimentaria da cui è stato estratto il reperto, sia per definire chiaramente di quale animale si trattasse.<BR> <BR> Lo studio di dettaglio dei microfossili contenuti nelle rocce (note come Argille Scagliose e distribuite su ampie zone della dorsale appenninica) ha permesso ad Alessandra Negri di datare il fossile alla fine del periodo Cretaceo, circa 75 milioni di anni fa. Il fossile, preparato e studiato nei minimi dettagli da Federico Fanti ed Andrea Cau, è risultato da subito essere la parte anteriore del cranio di un grosso rettile, un mosasauro per la precisione. I mosasauri erano grandi rettili marini, lontani parenti dei serpenti e delle lucertole, comparsi 100 milioni di anni fa ed estinti – assieme ai dinosauri – 65 milioni di anni fa. I mosasauri erano “tornati” a vivere in mare, adattando il loro corpo all'ambiente acquatico. Sotto molti aspetti, il loro stile di vita ricorda quello delle balene e delle orche, e come queste ultime i mosasauri erano feroci predatori armati di denti molto robusti. Alcuni mosasauri sono, dopo i dinosauri, i più grandi rettili vissuti sulla Terra, con specie lunghe una dozzina di metri e pesanti fino a 10 tonnellate.<BR> <BR> In Italia, finora, i resti di mosasauro sono relativamente pochi, e rinvenuti in maggioranza in Veneto.<BR> <BR> Il nuovo mosasauro, ricostruito da Davide Bonadonna, era un animale gigantesco: lungo dalla punta del muso alla fine della coda più di 11 metri e con una testa lunga un metro e mezzo, si tratta del più grande rettile fossile rinvenuto in Italia. Quello che certamente cattura l’attenzione di questo reperto sono i denti, lunghi fino a 10 centimetri e possenti: i denti dell'esemplare romagnolo mostrano i segni di usura tipici dei grandi predatori, come le orche, e confermano che questo animale era in grado con il suo morso di provocare profonde ferite e di frantumare le ossa delle sue prede.












14/03/2014ENORME RISERVA DI ACQUA ALL'INTERNO DELLA TERRA

Fonte: LE SCIENZENel suo Viaggio al centro della Terra, pubblicato nel 1864, Jules Verne immaginava che nelle profondità del nostro pianeta si celasse un enorme oceano. Centocinquanta anni dopo, la fantasia del grande scrittore trova un inatteso riscontro: uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che nel mantello terrestre, in uno strato compreso tra 400 e 670 chilometri di profondità, l'acqua c'è davvero, e potrebbe essere abbondante quanto quella di tutti gli oceani messi insieme. Non si tratta però di acqua allo stato liquido, ma di ioni idrossido, composti da un atomo di ossigeno e da uno di idrogeno, intrappolati in un particolare minerale che si forma in condizioni di altissima pressione. Questo minerale, chiamato ringwoodite, è stato scoperto per caso da D. G. Pearson, dell'Università dell'Alberta a Edmonton, in Canada e colleghi autori dello studio, tra quali Fabrizio Nestola dell'Università di Padova, analizzando un diamante ritrovato a Juina, in Brasile. C'è acqua nel mantello terrestre, la conferma da un diamanteIl diamante utilizzato da Pearson e colleghi per rivelare la presenza di acqua nel minerale ringwoodite (Cortesia Richard Siemens, University of Alberta)Prima delle scoperta di Pearson la ringwoodite era stata osservata solo in meteoriti oppure sintetizzata in esperimenti di laboratorio, grazie all'impiego di pressioni assai elevate. Gli scienziati però sospettavano che questo minerale potesse formarsi anche nel mantello terrestre, l'enorme guscio di roccia che separa la crosta del pianeta dal nucleo, visto che anche nel mantello i valori di pressione arrivano a livelli notevoli. Ma l'osservazione diretta di un campione naturale di ringwoodite non era mai andata a buon fine. Anche perché un'eventuale emersione in superficie e la conseguente diminuzione della pressione farebbero tornare la ringwoodite allo stato di olivina. A meno che la transizione sia straordinariamente rapida, per esempio per effetti di un'eruzione vulcanica in grado di riportare in superficie il magma del mantello. Probabilmente è il fenomeno verificatosi nel caso del diamante studiato da Paearson e colleghi, in cui sono state rilevate per la prima volta inclusioni di ringwoodite terrestre. A questo importante risultato ne è seguito un altro, perché la particolarità di questo minerale è di poter assorbire acqua. Le analisi spettroscopiche del campione hanno mostrato un picco in corrispondenza delle lunghezze d'onda assorbite dal gruppo OH, esattamente come avviene con i campioni prodotti artificialmente con un contenuto di acqua di circa l'uno per cento. Non è ancora chiaro quanto la ringwoodite sia rappresentativa della composizione del mantello. Se il contenuto di acqua rilevato fosse quello medio della porzione inferiore della zona di transizione del mantello, tra 520 e 660 chilometri di profondità, ciò si tradurrebbe in circa un miliardo di miliardi di tonnellate di acqua, circa la massa totale degli oceani. E ancora una volta, le immagini di Verne sono arrivate più vicine alla realtà di quanto si pensasse.

ringwoodite











10/02/2014CADE MENTRE CERCAVA FOSSILI

Fonte: La RepubblicaE' morto per le ferite riportate dopo un volo di 10 metri nei boschi tra Castelnuovo Berardenga e Rapolano Terme nella provincia di Siena. Un operaio di 45 anni, residente a Castelnuovo Berardenga, si era recato nel bosco per cercare conchiglie fossili ma mentre camminava lungo un costone il terreno ha ceduto sotto i suoi piedi provocandone una caduta di circa 10 metri. Secondo una prima ricostruzione l'uomo sarebbe deceduto sul colpo, a dare l'allarme due amici che insieme a lui si erano recati nel bosco per la ricerca dei fossili. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, gli uomini del 118 e i vigili del fuoco per le difficili operazioni del recupero della salma. L'uomo, celibe, era molto conosciuto nella cittadina del Chianti ed era nota a tutti la sua passione per i fossili.












11/12/2013TROVATI MINERALI ARGILLOSI SU EUROPA

Fonte: NASAUna nuova analisi dei dati della missione Galileo ha rivelato la presenza di minerali argillosi sulla superficie della luna ghiacciata di Giove, Europa, che sembrano essere stati liberati da una spettacolare collisione con un asteroide o una cometa. È la prima volta che questo tipo di minerali vengono rilevati sulla superficie di Europa. Le rocce spaziali che usualmente liberano questi minerali trasportano spesso materiali organici. “Materiali organici, che sono importanti mattoni della vita, si trovano spesso nelle comete e negli asteroidi primitivi” ha detto Jim Shirley, scienziato al Jet Propulsion Laboratory. “Trovare i residui rocciosi di questo impatto di una cometa sulla superficie di Europa potrebbe aprire un nuovo capitolo nella storia della ricerca della vita su Europa”. Alcuni scienziati credono che Europa sia il miglior posto nel sistema solare per la ricerca della vita. Ha un oceano sotterraneo in contatto con le rocce, una superficie ghiacciata che si mescola con l’oceano sottostante, sali sulla superficie che creano un gradiente di energia e una fonte di calore (la flessione che avviene quando Europa è ‘stirato’ e ‘spremuto’ dalla gravità di Giove). Queste condizioni esistevano già quando Europa fece la sua comparsa nel sistema solare. Gli scienziati hanno a lungo pensato che ci debba essere materia organica su Europa, anche se ancora deve essere direttamente rilevata. Una teoria è che la materia organica potrebbe essere arrivata da un impatto di una cometa o di un asteroide, e questa nuova scoperta conferma quest’idea. Shirley e i suoi colleghi, finanziati dall’Outer Planets Research della NASA, sono riusciti a rilevare i minerali argillosi chiamati fillosilicati nelle immagini al vicino infrarosso scattate da Galileo nel 1998. Queste immagini sono a bassa risoluzione per gli standard odierni, e il gruppo di Shirley ha applicato una nuova tecnica per tirar fuori dalle immagini piene di ‘rumore’ un segnale più forte per questi materiali. I fillosilicati compaiono in un anello largo circa 40 km. a 175 km dal centro di un cratere del diametro di 30 km. La spiegazione principale di questo modello è la caduta di materiale espulso quando una cometa o un asteroide colpisce la superficie con un angolo di 45 gradi o più dalla direzione verticale. Un angolo basso consentirebbe ad alcuni dei materiali originari della roccia spaziale di cadere di nuovo in superficie. Uno scontro più frontale avrebbe probabilmente vaporizzato o portato i materiali della roccia spaziale sotto la superficie. È difficile vedere come i fillosilicati provenienti dall’interno di Europa potrebbero risalire la superficie, a causa della crosta ghiacciata di Europa, che gli scienziati pensano possa essere spessa fino a 100 km. in alcune aree. Quindi, la migliore spiegazione è che i materiali siano venuti da un asteroide o una cometa. Se si fosse trattato di un asteroide, sarebbe dovuto essere del diametro di circa 1.100 metri. Se invece è stata una cometa, dovrebbe aver avuto un diametro di circa 1.700 metri. Quasi le stesse dimensioni della cometa ISON prima che passasse attorno al sole un paio di settimane fa.












05/12/2013INDONESIA VIETA EXPORT DI MINERALI GREZZI

Fonte: FIRSTONLINEIl Parlamento indonesiano ha detto sì al piano per vietare le esportazioni di tutti i minerali grezzi estratti dalle miniere del paese e il divieto entrerà in vigore in forma completa il prossimo anno. Le prime lavorazioni dovranno quindi essere obbligatoriamente effettuate in Indonesia. La norma avrà notevoli influenze, specialmente sul nickel e sullo stagno, di cui Jakarta è il primo esportatore mondiale, ma anche sulla bauxite, il minerale che viene sottoposto a una prima raffinazione in allumina, da cui un successivo passaggio in fonderia consente di ottenere l’alluminio.












20/11/2013I MINERALI DI VESTA

Fonte: ANSALa storia di uno dei più grandi asteroidi del Sistema Solare, Vesta, potrebbe essere molto più complicata del previsto: è quanto emerge dalla distribuzione dei minerali sulla sua superficie. A sorprendere i ricercatori è, in particolare, il fatto che l'olivina, un minerale comune nelle regioni più interne dei pianeti rocciosi come la Terra, è quasi del tutto assente nei grandi bacini di Vesta ed è invece abbondante in altre zone dell'asteroide. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve ad una ricerca internazionale alla quale l'Italia ha collaborato con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). I ricercatori hanno utilizzato i dati dello strumento italiano Vir (Visual and Infrared Spectrometer) che si trova a bordo della sonda Dawn della Nasa, che ha visitato Vesta nel 2011. Le immagini dello spettrometro Vir indicano l'inattesa distribuzione dell'olivina e che, di conseguenza, la formazione e l'evoluzione di Vesta non possono essere spiegate semplicemente con gli stessi processi che avrebbero sperimentato i pianeti solidi all'inizio della loro storia. "L'idea alla quale crediamo di più è che sotto la superficie di Vesta ci sia comunque un mantello roccioso ricco di olivina", dice Maria Cristina De Sanctis, dell'Inaf, co-autrice dell'articolo. Per la ricercatrice "l'assenza di olivina pura nelle zone meridionali di Vesta e la sua inaspettata presenza nelle regioni settentrionali indicano una storia evolutiva più complessa di quanto ci attendessimo prima delle osservazioni di Dawn. Questo studio - osserva - non solo non completa la nostra conoscenza di Vesta, ma ci pone anche altri interrogativi circa le fasi primordiali del Sistema Solare".












08/11/2013I FOSSILI PIU' ANTICHI

Fonte: JOURNAL OF ASTROBIOLOGYLa ricercatrice Nora Noffke stava studiando delle antiche rocce presso “the Dresser Formation” nell’Ovest dell’Australia quando è incappata in inusuali formazioni. Si tratta di uno dei ritrovamenti di fossili più antichi del mondo, probabilmente databili a 3.5 miliardi di anni fa; si tratta di complesse comunità di cianobatteri che prosperavano presso le coste marine e che probabilmente utilizzavano l'energia proveniente dal sole. Nessuno aveva mai trovato qualcosa di simile, nonostante la zona sia conosciuta da tanti geologici e scienziati che hanno camminato su quelle rocce ma non si sono resi conto di questi piccoli microrganismi che sotto la lente del microscopio appaiono come una serie di filamenti neri ricoperti da granelli di sabbia che permettono al microbo di sopravvivere alle onde del mare. Già altri microrganismi simili come i Chemolitofri “più giovani” rispetto a questi, sono sopravvissuti per milioni di anni semplicemente prendendo energia dai minerali delle rocce, ma questi filamenti non sembra abbiano fatto lo stesso. La scoperta porta indietro di almeno 300 milioni di anni l'età dei primi fossili ritrovati sulla Terra.












05/10/2013DIECIMILA ORME DI DINOSAURO

Fonte: LA REBUBBLICAAccadeva almeno cento milioni di anni fa fra le campagne oggi comprese nel parco naturale regionale di Lama Balice. Qui, a un chilometro dall'aeroporto e a ridosso della periferia del quartiere San Paolo, lo scorso agosto si è compiuta una scoperta destinata ad aggiungere nuove pagine al grande libro della storia della città. E non solo. Ne è stato artefice il paleontologo Marco Petruzzelli, specializzato dal 2005 in icnologia, ovvero quella branca della paleontologia che studia le impronte fossili degli animali, le orme volgarmente dette per capirci. Ebbene, all'interno della cava Selp, inattiva da circa un decennio e di proprietà dell'imprenditore Dante Mazzitelli, durante un sopralluogo alla ricerca di ipogei e grotte naturali, Petruzzelli si è imbattuto in quello che si è poi rivelato un giacimento con un numero stimato di circa 10mila orme di dinosauri (la concentrazione è di 3-4 impronte per metro quadrato). "Sono rimasto senza parole" ricorda Petruzzelli: "Sotto i miei piedi, al centro della cava, c'erano i resti di una spianata di marea fossilizzata nel periodo Cretaceo. E, nel mezzo, centinaia e centinaia di impronte: diverse sono organizzate in piste che ricalcano proprio una serie di camminate di dinosauri sia di specie erbivora che carnivora". Una vicenda che Petruzzelli racconta dal vero, durante un sopralluogo in anteprima con Repubblica e il paleontologo Rafael La Perna, docente al dipartimento di Scienze della terra e geoambientali dell'Ateneo barese. Insieme con Pierfrancesco Dellino, direttore del dipartimento, hanno appena notificato la denuncia di ritrovamento alla Soprintendenza ai beni archeologici, alla presidenza del parco e alla Regione. "Un atto doveroso - spiega Petruzzelli - perché quest'area possa essere messa sotto tutela e soprattutto diventare oggetto di studio per entrare a pieno titolo nel patrimonio culturale del territorio". La cava Selp, d'altra parte, nei progetti di Mazzitelli dovrebbe essere trasformata in anfiteatro tanto che, al fine di proteggere questo ritrovamento, a fine agosto una prima segnalazione era già stata formalizzata alla Regione dalla Sigea (Società italiana di educazione geologica e ambientale). "Allo stato attuale è necessario - dice Petruzzelli - mettere in luce queste orme, coperte dal terriccio, per una precisa determinazione delle specie che hanno calpestato Lama Balice. Dagli elementi finora raccolti possiamo supporre che qui, circa cento milioni di anni fa, siano passati grandi dinosauri dal collo allungato, i Sauropodi, ma anche quadrupedi corazzati (Anchilosauri) e carnivori di medie dimensioni (Teropodi)". La circostanza, poi, che il giacimento, esteso su una superficie stimata sui 3.500 metri quadrati, sia a un soffio dalla città sottolinea da sé la portata della scoperta. "L'auspicio è che stavolta almeno - suggerisce Rafael La Perna - si riesca in tempi non eccessivamente lunghi a valorizzare questo sito, a differenza di quanto è accaduto nella cava di Altamura". Sono 28, del resto, fino ad oggi in Puglia i ritrovamenti di orme di dinosauri, localizzati nelle aree di 14 diverse città e, adesso, per la prima volta a Bari. Anche se, in realtà, insiste La Perna "alcune impronte appartenenti a dinosauri sono state ritrovati in una serie di blocchi di calcare impiegati come frangiflutti sia a Marisabella che nei porticcioli di Torre a Mare e Santo Spirito. Fatto sta che, tuttavia, nessun sito è mai stato fino ad oggi musealizzato. Questa scoperta a Lama Balice aggiunge un altro tassello alla documentazione paleontologica meridionale, permettendoci di immaginare milioni di anni fa una Puglia unita all'Africa. Sono proprio le orme dei dinosauri a suggerirci una connessione con il continente africano". Dal punto di vista, invece, di Ferdinando Atlante del Movimento naturalistico pro Lama Balice la scoperta della cava dei dinosauri "può rappresentare l'occasione giusta perché gli enti locali si facciano carico, una volta per tutte, del futuro di questo parco regionale che, di fatto, esiste solo sulla carta. A dispetto della legge regionale istitutiva n. 15 del 2007 il parco non ha un organo di gestione né un regolamento e un piano territoriale". Secondo Petruzzelli, in effetti, ancora sotto il profilo geologico e storico "c'è ancora molto da scoprire all'interno di Lama Balice. Basti pensare che quest'estate è stato rinvenuto un nuovo ipogeo e una grotta naturale, quest'ultima all'interno della stessa cava Selp, utilizzata come rifugio dal pipistrello Ferro di cavallo maggiore, una specie protetta di interesse comunitario".












27/09/2013SCOPERTE MIGLIAIA DI IMPRONTE DI DINOSAURO

Fonte: CENTRO METEO ITALIANOLa scoperta, fatta dall’Università nel Museo del Nord dell’Alaska, rappresenta una delle più grandi concentrazioni di fossili di dinosauro trovate all’interno del Circolo Polare Artico. Dopo aver percorso più di 800 miglia lungo i fiumi Yukon e Tanana , gli scienziati hanno raccolto una quantità pari a 900 chili di impronte fossili di animali che sono vissuti durante il Giurassico. “Abbiamo trovato una serie di impronte di dinosauri in quasi tutte le rocce che affioravano in alcune superfici”, spiegano gli scienziati che hanno lavorato a lungo per portare avanti questa missione. Gli esperti hanno inoltre aggiunto che ”non esistono altri posti in questa zona con una tale abbondanza di impronte fossili, si tratta di una scoperta storica “, ha detto Paul McCarthy, appartenente alla University of Alaska-Fairbanks. Si stima che tali impronte possano risalire ad un tempo lontano compreso tra i 25 ed i 30 milioni di anni fa. Ora si passa all’analisi dettagliata che si incentrerà sulle decine di esemplari ritrovati in queste impronte. Secondo le parole di McCarthy, in soli 10 minuti sono stati raccolti ben 50 campioni lungo il fiume Yukon. Secondo quanto appreso da fonti locali, inoltre, all’orizzonte si prevedono altre importanti escursioni di ricerca di nuove tracce.












13/08/2013ESTRAZIONE DI MINERALI DA ASTEROIDI

Fonte: GAIANEWS.ITLa NASA ha recentemente annunciato l’intenzione di catturare un asteroide e di condurre studi ed estrazioni su di esso. Ora, un gruppo di scienziati dell’Università di Strathclyde a Glasgow, in Scozia, ha identificato una nuova classe di asteroidi che potrebbero aiutare allo scopo che la NASA si è prefissa. Infatti i ricercatori hanno scoperto una dozzina di asteroidi che potrebbero essere facilmente catturati, dando sia alla NASA che alle società minerarie un nuovo obiettivo per i loro sforzi. Identificare gli asteroidi migliori per diventare obiettivi per le missioni è estremamente importante. Tanto più un asteroide è accessibile tanto più sarà facile fare l’estrazione. I ricercatori hanno quindi cercato in una banca dati di circa 9.000 oggetti vicini alla Terra. Hanno cercato asteroidi che potevano essere manovrati in un’orbita accessibile modificando la loro velocità di meno di 500 metri al secondo. L’orbita accessibile è dietro i punti L2 o L1. In questi punti, la forza gravitazionale della Terra e quella del sole si equivalgono esattamente. Questi punti si trovano a circa mezzo milione di chilometri o poco più dalla Terra. Secondo gli scienziati solo 12 asteroidi soddisfano questi criteri. Sono conosciuti come ”oggetti facilmente recuperabili” o EROs, e potrebbero aiutare gli scienziati a individuare gli obiettivi di uno studio futuro. Uno degli asteroidi più papabili per lo studio ha un diametro compreso tra i sei e i 22 metri. Conosciuto come 2006 RH120, questo particolare asteroide potrebbe essere spostato in un’orbita vicino a L2, modificando la sua velocità di appena 58 metri al secondo. L’asteroide potrebbe essere raggiunto in soli cinque anni. Ma ci sono altre difficoltà: l’asteroide potrebbe uscire dall’orbita e schiantarsi contro la Terra anche se a detta degli esperti il rischio è minimo. L’anno scorso una società con sede a Seattle, che si interessa di asteroidi minerari, ha dichiarato che questi pianeti minori contengono materie prime non sfruttate, che potrebbero essere potenzialmente utilizzate come combustibile per razzi, sostenendo che potrebbero rappresentare un settore commerciale da un trilione di dollari. “Molti dei metalli e dei minerali che ora scarseggiano sulla Terra sono in quantità pressoché infinite nello spazio,” ha detto Peter H. Diamandis, co-fondatore e co-presidente del Planetary Resources, Inc. Con l’accesso a questi materiali i costi dei materiali e delle tecnologie saranno ridotti e l’abbondanza di questi materiali creerà certamente l’occasione per la creazione di nuove tecnologie.












02/07/2013LA SCOPERTA DELLA DEVEROITE

Fonte: LA STAMPAAncora una volta il Monte Cervandone, all’interno del parco Veglia-Devero, si è rivelato una miniera mineralogica in continua evoluzione. «Deveroite» è il nome del piccolissimo minerale trovato nel 2008 e riconosciuto a marzo di quest’anno come unico al mondo. Il ritrovamento si deve a Enzo Sartori e Vittorio Soldani, ricercatori originari di Baceno, appartenenti a due diverse generazioni di appassionati, cresciuti sulle pendici della vetta che, grazie alle sue pareti franose, attira sin dalla fine dell’Ottocento esperti e geologi. Il nuovo minerale, battezzato in omaggio alla zona che lo ha prodotto, è stato presentato ieri all’interno del laboratorio geologico «Castiglioni» inaugurato a fianco del parco dei Bagni di Crodo e del Museo delle acque. «A maggio è stato stipulato un accordo transfrontaliero con il parco svizzero della Binntal - ha commentato Graziano Uttini, presidente dell’ente parco Veglia-Devero-Antrona -. La nuova scoperta aggiunge un tassello importante alla collaborazione anche scientifica con il territorio elvetico. È dal 1995 che non viene trovato un nuovo minerale». Alessandro Guastoni, conservatore del Museo di mineralogia dell’università di Padova, ha illustrato le caratteristiche della «Deveroite», simile a materiale organico, con una struttura che ha richiesto mesi per essere decifrata e una dimensione ridotta. «E’ stato trovato in seguito alla scoperta di una frana antica: si forma sopra un altro, la Cervandonite - ha spiegato Soldani -. Non ha una grande dimensione, ma è importante dal punto di vista scientifico». «Abbiamo scelto il nome della località, perché questo minerale è di tutti coloro che amano il Devero, ricordando le generazioni che in passato vi cercavano minerali - ha concluso Sartori -. Frequento la zona fin da quando ero piccolo e oggi sono fiero di questa scoperta».












28/05/2013MINERALI PARTICOLARI SULLA LUNA

Fonte: ANSALa Luna potrebbe essere ricca di minerali insoliti dovuti ad impatti con meteoriti avvenuti nel corso di miliardi di anni. Alcuni frammenti di queste rocce "aliene" potrebbero essere infatti sopravvissuti all'impatto con la superficie lunare, anziché polverizzarsi o fondersi come si è creduto fino ad oggi. E' quanto emerge dalla ricerca pubblicata sulla rivista Nature Geoscience e condotta da studiosi americani e cinesi. Il risultato è particolarmente interessante perchè indica che molti dei crateri lunari potrebbero contenere informazioni preziose sulla formazione del Sistema Solare. I ricercatori dell'Università statunitense dell'Indiana e dell'Università di Pechino sono giunti a questa conclusione sulla base dell'analisi delle immagini inviate a Terra dalla sonda indiana Chandrayaan-1 e da quella giapponese Kaguya. Ad attirare la loro attenzione sono stati i picchi che si trovano al centro di alcuni crateri e nei quali si trovano materiali insoliti per essere di origine lunare. Gli autori della ricerca non escludono la possibilità di trovare sulla Luna anche massicci depositi di materiale primordiale terrestre, espulso da collisioni avvenute miliardi di anni fa. La superficie lunare è composta in gran parte da basalti, anortositi e vetro d'impatto, il tutto ricoperto da polvere chiamata regolite , che si è formata in seguito a urti e sollecitazioni termiche. La regolite lunare contiene anche una piccola percentuale di materiale meteoritico primitivo, come hanno dimostrato anche dai campioni di rocce lunari riportati a Terra dagli astronauti delle missioni Apollo. Sulla Terra i piccoli meteoriti sono comuni perché arrivano rallentati dall'atmosfera, mentre i grandi asteroidi che arrivano alla velocità di circa 25 chilometri al secondo vengono fusi e vaporizzati dallo shock. Gli asteroidi che colpiscono la Luna arrivano invece con un'energia inferiore, di circa 10 chilometri al secondo, a causa della bassa gravità che li attira. Per questo motivo gli autori della ricerca ritengono che alcuni frammenti potrebbero non essersi fusi e potrebbero trovarsi ancora sulla superficie lunare, all'interno di almeno un quarto dei grandi crateri della Luna.












29/04/2013SCOPERTO IL POSSIBILE ANTENATO DEI DINOSAURI

Fonte: ANSAAveva un corpo lungo tre metri e viveva in quella che è l'attuale Tanzania: è stato chiamato Asilisauro ed è l'antenato dei dinosauri, vissuto circa 242 milioni di anni fa, 10 milioni di anni dopo la più grande estinzione di massa della Terra, quando scomparvero 9 specie su 10. I suoi resti sono descritti sulla rivista dell'Accademia di Scienze degli Stati Uniti (Pnas) insieme con altri fossili che hanno permesso di ricostruire lo scenario precedente e successivo all'estinzione di massa avvenuta alla fine del periodo Permiano, 252 milioni di anni fa. Il lavoro si deve a un gruppo coordinato dal biologo americano Christian Sidor dell'università di Washington che ha condotto nel 2003 sette spedizioni a 'caccia' di fossili, in Tanzania, Zambia e Antartide. In particolare, analizzando fossili scoperti e i resti presenti nelle collezioni dei musei, i ricercatori hanno cercato di creare due 'istantanee' delle specie a quattro zampe vissute circa 5 milioni di anni prima e circa 10 milioni di anni dopo l'estinzione di massa alla fine del Permiano, 252 milioni di anni fa. Fra i risultati delle spedizioni vi è la scoperta del fossile di Asilisauro, il quale mostra che i predecessori dei dinosauri hanno guadagnato terreno proprio sulla scia della più grande crisi della biodiversità del pianeta. L'animale, faceva parte della famiglia dei rettili arcosauri che occupavano una zona geograficamente più ristretta rispetto alle comunità che esistevano prima dell'estinzione. La ricostruzione rivela infatti che gli arcosauri vivevano in Tanzania e in Zambia, ma non erano distribuiti in tutta la Pangea Meridionale (che comprendeva quelle che oggi sono l'Africa, Sud America, Antartide, Australia e India) come era stato per altre specie a quattro zampe prima dell'estinzione. A dimostrazione, ha osservato Sidor che "le comunità sono diventate frammentate dopo l'estinzione". Prima dell'estinzione, per esempio, il Dicynodon, un animale grande quanto un maiale che somigliava a una grassa lucertola con una piccola coda e una testa simile a una tartaruga, era una delle specie erbivore dominanti in tutta la Pangea meridionale. Dopo l'estinzione di massa alla fine del Permiano, il Dicynodon scomparve e altre specie affini di erbivori diminuirono in modo così drastico che gli erbivori emergenti come gli arcosauri ebbero campo più libero. In questo modo, scrivono gli autori, gli arcosauri hanno aperto la strada alla diffusione dei dinosauri in Tanzania e Zambia molti milioni di anni prima che questi animali prendessero piede ovunque sulla Terra.












16/04/2013SCOPERTE NUOVE ORME FOSSILI DI ANTENATI DI DINOSAURI IN ITALIA

Fonte: COMUNE DI MILANOSono le più grandi tracce in Italia e risalgono a ben 220 milioni di anni fa. Durante il periodo Triassico, grandi rettili predatori si aggiravano tra isole vulcaniche nell’area oggi occupata dal Lago d’Iseo, in provincia di Brescia. Lo provano 70 orme, di diametro compreso tra 12 e 40 centimetri, scoperte su una parete di roccia nei pressi del paese di Zone e studiate da un team di paleontologi italiani. Non si tratta di dinosauri ma di animali comunque enormi, lunghi fino a 6 metri, che li hanno preceduti nella storia del nostro pianeta. Le ricerche, condotte anche con l’aiuto della tecnologia laser, evidenziano che questi rettili erano quadrupedi ma, a differenza di quelli attuali, camminavano con ventre e coda ben distanziati dal terreno poiché i loro arti erano posizionati verticalmente sotto il corpo.












18/03/2013SCOPERTA ACQUA IN MINERALI DI MARTE

Fonte: ANSASu Marte sono stati scoperti minerali che contengono acqua intrappolata nella loro struttura. Li ha individuati il rover della Nasa Curiosity, arrivato su Marte il 6 agosto 2012. A una settimana dalla scoperta che sul pianeta rosso in passato vi era un ambiente favorevole alla vita, la Nasa annuncia oggi la scoperta della presenza di minerali idrati su Marte, contenenti molecole d'acqua nella loro struttura. Il risultato è stato possibile grazie a tre strumenti di Curiosity, la telecamera a infrarossi Mastcam, lo strumento russo Dynamic Albedo of Neutrons (Dan), che spara neutroni sulla superficie di Marte per cercare tracce di idrogeno e lo spettrometro canadese Alpha Particle X-ray Spectrometer (Apxs). I minerali idrati sono stati individuati soprattutto nell'area di Yellowknife Bay, che probabilmente in passato era il letto di un fiume o di un lago, e dove Curiosity ha perforato per la prima volta una roccia marziana. Lo strumento russo Dan ha rilevato l'idrogeno principalmente nelle molecole di acqua legate ai minerali. "L'acqua – ha rilevato Maxim Litvak dell'Istituto di Ricerca Spaziale di Mosca - a Yellowknife Bay é presente in quantità maggiori rispetto alle aree visitate finora da Curiosity”. "Con Mastcam, vediamo segnali di idratazione elevati nelle 'vene' di minerali che solcano le rocce" ha osservato Melissa Rice del California Institute of Technology. "Queste vene luminose – ha aggiunto - contengono sostanze minerali idrate che sono diverse dai minerali argillosi presenti nella roccia circostante". La composizione rilevata da Curiosity nelle aree visitate è principalmente di basalto, il tipo di roccia più comune su Marte ed è il materiale di base per le rocce sedimentarie esaminate da Curiosity. Le rocce sedimentarie a Yellowknife Bay probabilmente, ha spiegato la Nasa, si sono formate quando le rocce basaltiche sono state sminuzzate dall'acqua, trasportate, ridepositate come particelle sedimentarie, e mineralogicamente alterate dall'esposizione prolungata all'acqua.












07/02/2013NUOVE IPOTESI SULLA FORMAZIONE DELLE PEPITE D'ORO

Fonte: NATIONAL GEOGRAPHICCi sono dei batteri che trasformano i minerali auriferi in oro puro. Ecco spiegato, forse, perché sulla superficie del Nord America si trovano così spesso delle piccole pepite con batteri attaccati. La scoperta è stata fatta da un'equipe della McMaster University di Hamilton, in Canada. "Questa scoperta – dicono i ricercatori – è la prima dimostrazione che un metabolita secreto è in grado di proteggere contro l'oro tossico e causare la biomineralizzazione dell'oro". Lo studio è stato pubblicato su Nature Chemical Biology. I batteri in questione fanno parte della famiglia dei Cupriavidus metallidurans, microrganismi estremofili che alimentati con cloruro aurico rilasciano oro puro a 24 carati attraverso processi digestivi. La scoperta risolve un mistero che per decenni ha affascinato i biochimici, cioè perché il germe Delftia acidovorans si trova spesso sulla superficie delle piccole pepite d'oro.












05/02/2013TRACCE DI VITA FOSSILE IN UNA METEORITE: UNA NOTIZIA ANCORA DA VERIFICARE CON CERTEZZA

Fonte: JOURNAL OF COSMOLOGYTre scienziati dell'University of Buckingham (Gran Bretagna), sostengono di esser in possesso di un piccolo meteorite, caduto lo scorso 29 dicembre nella Provincia Centro-Settentrionale dello Sri Lanka, all'interno del quale vi sarebbero delle "diatomee" fossilizzate. Il sasso in questione, un pezzo di "condrite carbonacea", è stato ribattezzata Polonnaruwa, come l'antica città capitale del secondo regno più antico dello Sri Lanka, e al suo interno celava resti fossili di alghe unicellulari simili a quelle che popolavano i primordiali mari della Terra. La notizia, diffusa dai ricercatori attraverso il Journal of Cosmology, parla di un bolide formatosi presumibilmente miliardi di anni fa. Fino ad oggi, in meteoriti di questo tipo, sono state rilevate tracce d’acqua e, di raro, composti organici, compresi alcuni amminoacidi. I ricercatori ritengono che la roccia Polonnaruwa non sia stata contaminata da composti di origine terrestre in quanto è stata vista cadere e immediatamente raccolta. Inoltre, quelli che sembrano i fossili di diatomee risultano esser perfettamente incastonati nella matrice. I ricercatori hanno inoltre evidenziato la presenza di agglomerati di olivina, minerale silicatico la cui presenza è tipica nelle rocce cosmiche, e altri elementi sconosciuti che si ipotizza possano arrivare dal di fuori del Sistema Solare. Se queste prime informazioni trovassero conferma, gli scienziati avrebbero un importante riscontro anche sulla teoria della Panspermia, secondo la quale la vita nell'Universo si diffonderebbe da un sistema solare all'altro trasportata proprio dalle comete, che con la loro scia lasciano cadere sui pianeti dei detriti contenenti i mattoni organici fondamentali per creare molecole biologiche. Molti scienziati sostengono tuttavia che la notizia abbia avuto una risonanza mediatica eccessiva. Uno dei ricercatori che ha scoperto il meteorite, infatti, è N. C. Wickramasinghe, sostenitore agguerrito della teoria della Panspermia ed esperto facente parte del board del Journal of Cosmology. In prativa Wickramasinghe è uno degli scienziati che ha il compito di valutare se una ricerca è valida controllarla e decidere se pubblicarla. Se questi non fossero già elementi capaci di raffreddare i facili entusiasmi va poi detto che le analisi sul fantomatico meteorite non sono state realizzate da scienziati "super partes".












01/02/2013DALLA DANCALIA NUOVI REPERTI FOSSILI DI HOMO

Fonte: UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA L'equipe di ricerca internazionale italo-eritrea nella regione di Buya (Dancalia eritrea), guidata da Alfredo Coppa del dipartimento di Scienze ambientali della Sapienza, ha portato alla scoperta di nuovi fossili di Homo, di circa un milione di anni fa, nel sito di Muhuli Amo noto come “santuario delle amigdale”. A una profondità di pochi centimetri maggiore rispetto a quella dei reperti scoperti nelle due precedenti missioni sono stati rinvenuti dei frammenti cranici appartenenti allo stesso individuo precedentemente scoperto. In particolare, un nuovo frammento riveste la massima importanza in quanto completa i precedenti ritrovamenti: rende finalmente possibile ricostruire un intero parietale sinistro di Homo e permette di apprezzare in modo molto più completo la peculiare morfologia della volta cranica di questo individuo. Viene così precisata la sua somiglianza con il cranio UA31, coevo e proveniente dal sito di Uadi Aalad a pochi chilometri di distanza, e confermato che le morfologia del reperto UA31 è rappresentativa di una popolazione e non di un singolo e particolare individuo. Ulteriori reperti sono in analisi in quanto lo spesso sedimento che li ricopre ha impedito una immediata conferma della loro appartenenza al genere Homo. “Questi nuovi ritrovamenti confermano in maniera definitiva che l’area che stiamo investigando – spiega il paleoantropologo Alfredo Coppa – è una delle aree a più alta potenzialità per le ricerche che si occupano delle origini della nostra specie sapiens, i cui diretti antenati compariranno nella regione circa quattrocentomila anni più tardi.” Le ricerche nella Dancalia eritrea sono state rese possibili anche grazie al finanziamento che la Sapienza destina ai Grandi scavi archeologici, in cui rientra il Progetto internazionale “Eritrean-Italian Danakil Expedition: Anthropo-archaeological and Geo-Paleontological Mission”, oltre che a un progetto PRIN del Ministero della ricerca scientifica e a un finanziamento per le missioni archeologiche del Ministero per gli Affari Esteri. Partecipano al progetto ricercatori della Sapienza, del Regional Museum di Massawa, dell’Eritrean National Museum di Asmara, delle Università di Firenze, Padova, Torino, Ferrara, Bologna, del Museo Pigorini di Roma, dell’Università di Barcellona e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi.












26/01/2013RICERCA DI MINERALI SU ASTEROIDI

Fonte: IL MONDO . ITUna società americana si è presentata oggi al mondo intero con un obiettivo: lanciare nello spazio una flotta di sonde per l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerali e di altro tipo contenute nelle asteroidi vicine alla Terra. In una conferenza ancora in corso a Santa Monica (California), la neonata Deep Space Industries ha annunciato il suo piano, che prevede nel 2015 il lancio delle sonde da 25 chilogrammi ciascuna battezzate "FireFlies". L'anno successivo toccherà invece a quelle da 35 chilogrammi circa, chiamate DragonFlies. "L'utilizzo di risorse raccolte nello spazio è l'unico con cui ci possiamo permettere lo sviluppo di attività nello spazio", ha dichiarato in una nota l'amministratore delegato della società David Gump, che ha aggiunto: "ogni anno vengono scoperte oltre 900 asteroidi di passaggio vicino alla Terra. Esse potrebbero avere il ruolo che l'Iron Range in Minnesota [una regione dello Stato americano ricca di minerali di ferro] ha avuto per il settore dell'auto di Detroit durante il secolo scorso, ossia una fonte vicina di risorse laddove servivano. In questo caso, metalli e fonti di energia derivanti da asteroidi possono contribuire all'espansione delle attività nello spazio del nostro secolo".












25/01/2013CURIOSITY ALLA RICECA DI MINERALI FLUORESCENTI

Fonte: ANSACuriosity "fotografo" di notte alla ricerca di minerali fluorescenti: il robot laboratorio della Nasa ha usato per la prima volta lo strumento Mars Hand Lens Imager, montato sul suo braccio per scattare fotografie in notturna grazie al suo sistema di illuminazione con luce bianca e ultravioletta. Le immagini ritraggono la roccia marziana Sayunei in un punto in cui era stata toccata dalla ruota anteriore sinistra di Curiosity che era a caccia di materiale 'fresco' e privo di polvere da analizzare.












12/12/2012ERANO LICHENI LE PRIME FORME VIVENTI?

Fonte: NATUREUn nuovo studio dimostra che i fossili, considerati finora come la discendenza delle creature dei mari nell'antichità, potrebbero effettivamente essere stati dei licheni terrestri. Tale ipotesi suggerisce l'idea che la vita sulla Terra abbia avuto inizio prima di quanto le stime attuali affermano e retrodaterebbe la comparsa delle prime forme di vita di 65 milioni di anni. Tuttavia, altri paleontologi hanno categoricamente rifiutato l'ipotesi fatta da Gregory Retallack, un geologo dell'Università dell'Oregon. Il suo studio, in pratica, determina una drammatica reinterpretazione dei fossili e suggerisce che la vita sul pianeta abbia cominciato ad esistere 65 mila anni prima di quanto i ricercatori avevano stimato. L'esatta natura dei fossili del periodo Ediacarano, risalenti a 542-635 milioni di anni fa, è stato un argomento controverso tra i paleontologi. Alcuni sostengono che i fossili rappresentino alcuni dei primi organismi complessi marini e che si siano evoluti oltre 10 milioni di anni prima del periodo Cambriano, durante il quale si è verificato un rapido emergere di grandi gruppi di animali complessi. Retallack, al contrario, ritiene che i fossili siano in realtà licheni, tracce di muffe e le diverse strutture del suolo che si sono sviluppate nel corso del dipanarsi del tempo. Secondo lo scienziato, le rocce analizzate dal paleontologo Reginald Sprigg nel 1947 nel sud dell'Australia costituiscono il fondamento di questi nuovi dati geologici. Il colore rosso della roccia e le influenze atmosferiche indicano che i depositi si sono formati in ambienti terrestri e non in quelli marini. In questo modo, le piste attribuite ai vermi esistenti nel periodo Ediacarano potrebbero effettivamente essere costituite di licheni e muffe. Alcuni paleontologi respingono tale teoria. Secondo quanto emerge, a loro parere, sarebbe semplicemente una sintesi dei punti di vista che Retallack ha raccolto nell'ultimo decennio delle sue ricerche. Sempre secondo questa contraria interpretazione, lo scienziato non ha presentato alcuna prova, il che sarebbe in contraddizione con l'interpretazione che gli strati sedimentari coinvolti siano effettivamente di origine marina.












05/12/2012SCOPERTO IL DINOSAURO PIU' ANTICO

Fonte: ANSAIl primo dinosauro mai comparso sulla Terra aveva le dimensioni di un grosso cane e una coda lunghissima; è vissuto circa 250 milioni di anni fa nella zona meridionale della Pangea, il supercontinente che fino a circa 200 milioni di anni fa si ritiene includesse tutte le terre emerse del pianeta. La sua scoperta è pubblicata sulla rivista Biology Letters, edita dalla Royal Society del Regno Unito, e si deve al gruppo di Sterling Nesbitt, dell’Università di Washington. Questa antica creatura, chiamata ‘Nyasasaurus parringtoni’, era grande come un cane labrador e aveva una coda lunga circa un metro e mezzo. I suoi resti, conservati fin dagli anni '30 nel Museo di Storia Naturale di Londra e nel South African Museum di Città del Capo, sono stati analizzati a fondo soltanto adesso e si è scoperto che risalgono ad un periodo che precede da 10 a 15 milioni di anni i fossili dei dinosauri più antichi finora conosciuti vissuti nel periodo Triassico. ''Se non è il primo dei dinosauri, è comunque il parente più prossimo dei dinosauri ritrovato finora'', commenta Nesbitt. ''Per 150 anni la comunità scientifica ha suggerito l’esistenza di dinosauri nel medio Triassico, ma con prove ambigue''. L'esperto rileva che ''alcuni ricercatori hanno usato impronte fossilizzate, ma ora sappiamo che altri animali di quell’epoca potevano avere zampe molto simili''. Per ricostruire l'aspetto dell'antico dinosauro i ricercatori avevano a disposizione solo un omero e sei vertebre, ma questi resti sono stati sufficienti per stabilire che l'animale stava in piedi, era lungo tra i 2 e i 3 metri compresa la coda, alto meno di un metro a livello dell'anca e poteva pesare tra 20 e 60 chilogrammi. I resti fossili rivelano inoltre una serie di caratteristiche comuni ai primi dinosauri. Ad esempio, i tessuti ossei della zampa appaiono intrecciati in modo non organizzato: elemento che indica una rapida crescita, caratteristica comune dei dinosauri. I fossili originali del Nyasasaurus parringtoni sono stati ritrovati nel 1930 in Tanzania, ma non è corretto affermare che questi dinosauri avessero origini africane. Al tempo in cui circolavano sulla Terra, i continenti erano uniti in un’unica massa chiamata Pangea. La Tanzania sarebbe stata parte della Pangea meridionale, che comprendeva Africa, Sud America, Antartide e Australia.












01/11/2012SUOLO VULCANICO SU MARTE

Fonte: LA STAMPAIl suolo di Marte somiglia ai terreni di origine vulcanica delle Hawaii: è quanto dimostra la prima analisi diretta di un campione di suolo marziano eseguita da Curiosity, il rover laboratorio della Nasa. Arrivato su Marte nell’agosto scorso, Curiosity ha identificato in particolare i minerali del campione ingoiato recentemente dal rover, usando lo strumento Chemistry and Mineralogy (CheMin). Dal punto di vista mineralogico, il campione si è rivelato simile ai materiali basaltici, con una notevole presenza di feldspato, pirosseno e olivina. «Finora abbiamo fatto molti ragionamenti per deduzioni sulla mineralogia del suolo marziano» rileva David Blake del centro di ricerca Ames della Nasa che è il responsabile scientifico dello strumento CheMin. L’identificazione dei minerali nelle rocce e nel suolo, osservano gli esperti, è cruciale per l’obiettivo della missione che intende valutare se Marte e il cratere Gale, dove si trova Curiosity, abbiano mai offerto condizioni favorevoli alla vita. Ogni minerale infatti registra le condizioni sotto le quali si è formato e CheMin usa la diffrazione ai raggi X per leggere la struttura interna dei minerali, registrando come i cristalli interagiscono con i raggi X. Il campione usato per la prima analisi era composto di polvere e sabbia raccolta nei giorni scorsi dalla paletta del rover. Il campione è stato elaborato attraverso un setaccio che ha escluso le particelle più grandi di 150 micrometri, circa la larghezza di un capello umano. La polvere analizzata è distribuita a livello globale dalle tempeste di polvere, la sabbia invece è distribuita a livello più locale. Entrambe, spiegano gli esperti, sono rappresentativo dei processi moderni avvenuti su Marte, a differenza delle rocce studiate da Curiosity un paio di settimane fa, i conglomerati, che hanno diversi miliardi di anni. «Finora - osserva David Bish, della Indiana University che lavora alla missione - i materiali analizzati da Curiosity sono in linea con le nostre idee sul cratere Gale che ha registrato un passaggio da un ambiente umido a secco. Le rocce antiche, come i conglomerati, suggeriscono la presenza di acqua che scorreva, mentre i minerali più giovani testimoniano un’interazione limitata con l’acqua».












31/10/2012STALATTITI IN VALIGIA

Fonte: ALGHERO NOTIZIENegli scorsi giorni presso l’aeroporto di Alghero Fertilia, personale addetto alla sicurezza (Security), dipendente della Società So.Ge.A.Al, gestore dei servizi dell’aeroporto di Alghero Fertilia, durante i normali controlli del bagaglio a mano in possesso dei passeggeri in partenza con il volo n. FR1946 delle ore 10.50 per Stoccolma, rilevavano attraverso il controllo radiogeno di sicurezza. La presenza di materiali che per consistenza e forma insospettivano gli stessi addetti, i quali, con prontezza, chiedevano l’intervento del personale dell’Agenzia delle Dogane in servizio presso l’aeroporto. Il personale della Dogana, in servizio presso detto Ufficio al momento dei controlli, intervenivano rilevando all’interno del bagaglio al seguito di un cittadino lituano (M.B. di 33 anni), la presenza di concrezioni calcaree e frammenti ossei fossili. Il cittadino lituano veniva quindi fermato, identificato ed i reperti venivano posti sotto sequestro cautelativo, al fine di verificare la provenienza degli stessi. Nell’ambito di una collaborazione già consolidata tra la Sezione Operativa Territoriale di Alghero dell’Agenzia delle Dogane ed il Corpo Forestale e di V.A., il Dr Nicola Agostara contattava la Sala Operativa del Corpo Forestale e di V.A. di Sassari il cui responsabile Commissario Antonio Sanna predisponeva l’invio della pattuglia in servizio presso il Comando Stazione Forestale di Alghero, al fine di verificare ed accertare la provenienza dei reperti litici e paleontologici. Il giorno seguente si predisponeva una perizia dei reperti da parte del Professor Vincenzo Pascucci del Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio dell’Università agli Studi di Sassari. Lo stesso Docente accertava che le concrezioni, consistenti in quattro stalattiti, di cui una ancora attiva e tre inattive, una inflorescenza pisolitica più nota come stalagmite a “cavolfiore”, provenivano da cavità, grotte, appartenenti ai sistemi carsici ipogei della Sardegna nord–orientale e più precisamente da grotte localizzate nell’entroterra del Golfo di Orosei. Le stalattiti risultavano tutte staccate dal loro sito in tempi molto recenti. Per quanto riguarda il reperto paleontologico, questo sarebbe riconducibile a frammento osseo di un’arcata dentaria appartenente ad un animale di grossa taglia. Ulteriori approfondimenti e verifiche sono ancora in corso. La Regione Sardegna, valutando il patrimonio speleologico e paleontologico dell’Isola, nell’Agosto del 2007 promulgava una norma specifica di tutela dei beni e di incentivazione dell’attività speleologica. La Legge regionale n. 4 del 7 agosto 2007 prevede, tra l’altro, il divieto di asportazione di concrezioni dalle cavità carsiche presenti nel territorio regionale ed elencate in apposito Catasto che comprende circa 3.000 siti di interesse. La norma prevede sanzioni amministrative molto pesanti, da un minimo di 5.000 ad un massimo di 15.000 Euro. In funzione di questa norma, al responsabile della violazione, individuato nel citato cittadino lituano, è stata contestata la violazione amministrativa per gli importi citati e posti sotto sequestro i reperti al fine della loro confisca. La stretta collaborazione tra gli uffici che hanno curato l’accertamento (Security So.Ge.A.Al, Agenzia delle Dogane e Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale), come già in passato, dimostra di potere raggiungere importanti risultati per la tutela del patrimonio geologico e naturalistico dell’Isola.












16/10/2012PROSEGUONO I RISULTATI NELLA LOTTA AL CONTRABBANDO DI FOSSILI PROTETTI

Fonte: ANSAImportava illegalmente dinosauri. E stato così arrestato in Florida un cittadino statunitense di 38 anni, Eric Prokopi. L'inchiesta, condotta dal procuratore di New York Preet Bharara, ha accertato che Prokopi tra il 2010 e il 2012 ha fato entrare illegalmente negli Stati Uniti diversi scheletri di dinosauri, tra cui quello di un tirannosauro di 70 milioni di anni proveniente dal deserto del Gobi, in Mongolia. Lo scheletro di questo tirannosauro che è stato venduto all'asta lo scorso maggio. Il trafficante di dinosauri si spacciava per un paleontologo commerciale e aveva messo in piedi un vero e proprio mercato nero di fossili preistorici. La magistratura statunitense ha assicurato che i reperti di dinosauri verranno restituiti ai Paesi a cui sono stati illegalmente sottratti.












16/10/2012SCOPERTA UNA DELLE TARTARUGHE PIU' ANTICHE MAI RITROVATE

Fonte: TMNEWSNonostante qualche ruga qua è là, si può dire che questa tartaruga l'età se la porta proprio bene. Basta pensare che stiamo parlando di una "signora" che ha appena 215 milioni di anni. Si tratta di uno dei più antichi fossili di tartaruga mai scoperti sulla Terra, trovato nel 2008 nel sud ovest della Polonia da un team di ricercatori dell'istituto di Paleobiologia di Varsavia."Quello che differenzia la nostra scoperta dalle altre - spiega Tomasz Sulej - è che noi abbiamo trovato ossa in eccellente stato di conservazione, come questo osso della gamba che non è mai stato trovato in nessuna parte del mondo".E' in questa radura nei pressi della città di Poreba che è stata fatta la scoperta, considerato un tesoro dai paleontologi di tutto il mondo. Questo territorio, inoltre, è ritenuto un vero e propri "santuario": vi sono stati scoperti, infatti, diversi altri carapaci, denti di dinosauro e fossili di pesci e rettili preistorici."Probabilmente ci sono delle circostanze ambientali che favoriscono la conservazione dei reperti in questa zona - continua il ricercatore - caratteristiche che permettono alle ossa di fossilizzarsi e arrivare pressoché intatte fino ai giorni nostri".Scoperte come queste sono molto importanti per i paleontologi perché permettono di studiare l'evoluzione di questi rettili, attualmente minacciati d'estinzione, per capire come la loro fisiologia si è sviluppata nel corso dei millenni.












27/09/2012UNA MISTERIOSA STATUA RICAVATA DA UN METEORITE

Fonte: AGIUn'antica statua di Budda recuperata per la prima volta da una spedizione nazista nel 1938 era stata scolpita in atassite, minerale molto raro caratteristico dei meteoriti ferrosi. La scoperta è opera dell'Istituto di Planetologia dell'Università di Stoccarda, che ha analizzato la statua, che ha probabilmente mille anni e pesa 10 chili, che raffigura la divinità buddista Vaisravana. Come si legge sulla rivista 'Meteoritics and Planetary Science', la statua tibetana esprime uno stile ibrido fra la cultura buddista e quella buddista Bon e rappresenta il dio Vaisravana, anche noto come Jambhala in Tibet. L'atassite di cui sarebbe fatta costituisce un minerale molto raro dei meteoriti a base di ferro con alto contenuto di nichel. Secondo gli scienziati, questo materiale sarebbe stato portato sul nostro pianeta dal meteorite Chinga che colpì le aree della Mongolia e della Siberia circa 15 mila anni fa. I suoi frammenti furono scoperti ufficialmente dai cercatori d'oro nel 1913, ma molto probabilmente si iniziò a raccoglierli molti secoli prima, precisano gli scienziati.












11/09/2012RARI FOSSILI DI GINKGO RITROVATI IN ALTO ADIGE

Fonte: PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANOUn gran numero di piante fossili di gingko risalenti a 260 milioni di anni fa, quando si pensava esistessero sulla Terra quasi esclusivamente conifere, sono stati ritrovati nella Gola del Bletterbach nel corso di un progetto di ricerca pluriennale del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige. “Per il periodo in questione, il Permiano superiore, vi sono al mondo pochissimi siti dove è stato possibile ritrovare una tale quantità di gingko,” spiega la paleontologa del museo Evelyn Kustatscher. Fossili di almeno 15 diverse specie di piante, dagli equiseti alle felci a seme, alle cicadee e ai ginkgo, tutti risalenti a 260 milioni di anni fa (Permiano superiore), sono stati ritrovati nella Gola del Bletterbach nel corso di un progetto di ricerca del Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige. Un risultato di assoluto rilievo, considerato che finora si riteneva che il mondo vegetale sulla Terra in quel periodo fosse composto quasi esclusivamente da conifere. Anche nel Bletterbach fino ad oggi erano state ritrovate solo conifere. "I primi esiti del lavoro scientifico hanno invece dimostrato che la flora dell'area della Gola del Bletterbach nel Permiano superiore era molto varia," spiega la paleontologa del museo Evelyn Kustatscher, sottolineando che "la forte presenza di piante della specie ginkgo è sorprendente, poiché per il periodo in questione vi sono al mondo pochissimi siti dove è stato possibile ritrovare una tale quantità di gingko fossili. Normalmente per il Permiano superiore sono assai rari". I ginkgo sono alberi sottili e alti (fino a 30 metri), con foglie a ventaglio. Hanno effettuato i ritrovamenti i due paleobotanici dilettanti Rainer Butzmann e Thilo Fischer di Monaco di Baviera (D), coinvolti, nell'ambito del progetto di ricerca, in un lavoro intensivo di raccolta di fossili che procede da sei anni. I risultati preliminari sono appena stati resi noti sulla pubblicazione specialistica Review of Palaeobotany and Palynology n. 182 (E. Kustatscher e altri, A new flora from the Upper Permian of Bletterbach) e verranno discussi a fine settembre a Berlino in occasione del 100° convegno della Società paleontologica. Il lavoro scientifico proseguirà: gli scienziati ipotizzano che tra i reperti si trovino anche specie nuove per l'Alto Adige o addirittura mai descritte a livello mondiale. Il progetto di ricerca, avviato nel 2006, è condotto dal Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige in collaborazione con il Geoparc Bletterbach. Il direttore del museo Vito Zingerle precisa che "Il progetto, che porta notevoli contributi allo studio delle Dolomiti, patrimonio naturale dell'umanità, è finanziato dalla Ripartizione provinciale Diritto allo studio, università e ricerca".












30/08/2012ALCUNI MINERALI CONTRO LA SICCITA'

Fonte: TELEESTENSE.ITSi chiamano zeoliti, e potrebbero rivelarsi lo strumento per ridurre gli effetti devastanti della siccitàsull’agricoltura, e per ottimizzare l’irrigazione e la concimazione dei terreni. Le zeoliti sono un particolare gruppo di minerali capaci di incamerare e trattenere molecole di acqua e di azoto. Il progetto Zeolife, coordinato dall’equipe di ricercatori del professor Massimo Coltorti, geologo dell’Università di Ferrara, ruota intorno a questa proprietà delle zeoliti, che le rende una specie di serbatoio naturale di acqua e fertilizzante.Un campo di mais essiccato dal sole alle porte di Codigoro: è questo il luogo in cui verrà sperimentato il progetto Zeolife. Il minerale può assorbire acqua e azoto, poi rilasciarlo lentamente alle piante secondo le loro esigenze, in un arco di tempo anche molto ampio. Acqua e azoto vengono caricate nel minerale attraverso il liquame dei suini di un vicino allevamento. Le zeoliti funzionano come serbatoi d’acqua e di sostanze fertilizzanti a lento rilascio. Utili nelle fasi di siccità, come quella attuale, adatte a ridurre la quantità di fertilizzante impiegato nel terreno, ma anche poco costose.

La stilbite, un minerale del gruppo delle zeoliti. Alcuni zeoliti sono interessanti anche da un punto di vista estetico e collezionistico.











30/08/2012SCOPERTI INSETTI IN AMBRA ANTICHI 230 MILIONI DI ANNI

Fonte: TG1.RAIDue acari e un moscerino delle dimensioni di pochi millimetri, risalenti al periodo Triassico, databile a oltre 230 milioni di anni fa, sono stati trovati perfettamente conservati all’interno di goccioline di ambra rinvenute nelle Dolomiti, vicino a Cortina d’Ampezzo. A rivelarlo uno studio internazionale realizzato dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr) e dall’Università di Padova, in collaborazione con l’Università di Göttingen e con il Museo di Storia Naturale di New York, e pubblicato su Pnas – Proceedings of the National Academy of Sciences. I ricercatori hanno osservato oltre settantamila piccole gocce di ambra finora ritrovate nel sito dolomitico, facendo luce sull’evoluzione di un gruppo di artropodi (invertebrati che comprendono gli insetti, i ragni e i crostacei) tra i più diffusi al mondo. “Già nel 2006 il team di ricerca aveva pubblicato i risultati sullo studio di batteri e protozoi inglobati nell’ambra dolomitica, dimostratisi incredibilmente simili ai microrganismi ancora oggi esistenti”, spiega Eugenio Ragazzi dell’Università di Padova. “Prima del presente studio, però, le più vecchie inclusioni di organismi animali in ambra risalivano a circa 130 milioni di anni fa: la nuova scoperta sposta quindi le lancette indietro nel tempo di ben 100 milioni di anni rispetto a ogni precedente ritrovamento di organismi inglobati in ambra”. Grazie all’eccezionale stato di conservazione, per due dei tre artropodi sono state coniate anche nuove specie, chiamate Ampezzoa triassica e Triasacarus fedelei, in onore del cortinese Paolo Fedele che nel 1997 ha segnalato il giacimento che ha permesso tutte le successive ricerche. “È sorprendente come la morfologia di tali acari triassici sia simile a quella delle specie odierne appartenenti alla famiglia Eriophyoidea”, prosegue Guido Roghi dell’Igg-Cnr: “Le caratteristiche comuni - corpo lungo e segmentato, due paia di zampe invece delle quattro solitamente presenti negli acari, un peculiare apparato boccale e artigli piumati – dimostrano che questi artropodi avevano tratti distintivi e specializzati già nel Triassico, decine di milioni di anni prima della comparsa delle angiosperme di cui si nutrono oggi, quando necessariamente si nutrivano di conifere (gimnosperme)”. Quando apparvero le prime piante con fiore, quindi, questi artropodi modificarono le loro abitudini alimentari: “Grazie al loro adattamento ambientale hanno superato le grandi estinzioni al termine del Cretacico (65 milioni di anni fa)”, concludono i ricercatori. “Se nel Permiano (252 milioni di anni fa) si erano estinte il 96% di tutte le specie marine e il 70% di quelle dei vertebrati terrestri, questo studio chiarisce che nel Triassico (230 milioni di anni fa) esistevano organismi animali persistenti anche a cambiamenti enormi”.

Un esempio di insetto in ambra. Gli esemplari dolomitici risultano molto più antichi di questo.











06/07/2012SCOPERTO UN DINOSAURO CON I CAPELLI

Fonte: LA STAMPAUna folta coda da scoiattolo e lunghe piume filamentose, simili ai capelli. E' Sciurumimus, il "nuovo" dinosauro i cui fossili sono stati trovati in Germania, chiamato così per la sua lunga coda simile ai roditori del genere Sciurus. Secondo lo studio dei paleontologi tedeschi autori della scoperta pubblicato sulla rivista americana Pnas, i resti sembrano essere di un cucciolo appena uscito dall'uovo. Il piccolo sarebbe vissuto nel tardo Giurassico e apparrebbe a un gruppo diverso rispetto a quello di cui fanno parte i dinosauri piumati finora noti, considerati i progenitori degli uccelli (celosauri). Si tratterebbe di un membro dei megalosauridi, cioè dei grandi rettili. L’esemplare ha un cranio largo, zampe posteriori corte e pelle liscia. Alcune parti del suo corpo erano coperte da lunghe e sottili piume. In particolare, sono state rinvenute sul dorso della coda e delle vertebre, sotto il ventre e sulla parte anteriore dell'animale. Secondo gli esperti, questo suggerirebbe che l’intero dinosauro ne fosse rivestito. Grazie al suo ottimale stato di conservazione, sarà in grado di rivelare ai paleontologi dettagli inediti sull’anatomia di questi antichi animali.












02/07/2012SCOPERTA LA PANGUITE

Fonte: AGIScoperto un nuovo minerale all'interno di un meteorite ritrovato in Messico nel 1969. Il meteorite, denominato Allende, conterebbe infatti un ossido di titanio finora sconosciuto alla scienza e secondo i ricercatori uno dei minerali più antichi del sistema solare. Il materiale è stato denominato panguite come Pan Gu, il gigante della mitologia cinese che ha dato forma al mondo separando la terra dal cielo. La scoperta è stata riportata sulla rivista American Mineralogist. "Si tratta di una scoperta molto interessante, poichè all'interno della panguite si trovano delle inclusioni di materiale ultra refrattario visibili solo al microscopio. Inclusioni di questo tipo sono tipiche dei materiali risalenti alle prime fasi di formazione del sistema solare" ha detto Chi Ma del California Institute of Technology negli USA. "A 40 anni di distanza dall'arrivo sulla Terra, questo meteorite ha ancora molto da raccontarci sulle origini del nostro sistema solare". L'International Mineralogical Associationas Commission on New Minerals, Nomenclature, and Classification ha già approvato il nome del nuovo minerale.












21/06/2012SCOPERTI RESTI DI CANGURI GIGANTI

Fonte: BLITZ QUOTIDIANOPaleontologi australiani hanno scoperto scheletri fossili di circa 40 marsupiali giganti, che risalirebbero fino a 200 mila anni fa, presso la cittadina di Eula in Queensland, nel nordest del continente. Gli scienziati del Museo del Queensland e della Griffith University sono al lavoro nel sito con l'aiuto di volontari della Outback Gondwana Foundation, che prende il nome dal supercontinente che un tempo comprendeva Australia, Asia e Sudamerica. Secondo gli studiosi si tratta di resti di diprotodonte, un animale grande quanto un ippopotamo, il più grande marsupiale mai esistito, vissuto fra 1,6 milioni e 40 mila anni fa, che si cibava di foglie e di arbusti. Uno degli scheletri, ha detto Scott Hocknull del Museo del Queensland alla radio nazionale Abc, è fra gli esemplari più grandi e meglio conservati finora scoperti, e risalirebbe a 200 mila anni fa. "Si tratta di circa 40 o 50 esemplari. E' la più grande concentrazione di questo marsupiale gigante mai scoperta finora", ha aggiunto. Altra megafauna scoperta include una lucertola gigante parente del moderno drago di komodo e canguri giganti, oltre a pesci d'acqua dolce estinti e rane. "Sembra che fosse una delle restanti fonti d'acqua quando si è verificata l'estinzione di tutta questa fauna", ha detto Hocknull. Il diprotodonte, che raggiungeva i 4 metri di lunghezza, faceva parte di quel complesso di grandi vertebrati del Pleistocene che popolavano l'Australia fino a circa 40 mila anni fa. Secondo molti studiosi, la causa della loro misteriosa estinzione può essere riconducibile all'uomo, che raggiunse l'Australia qualche migliaio di anni prima e, trovatosi di fronte a una fauna non abituata a predatori tanto attivi, iniziò a sterminare sistematicamente le varie specie tramite una caccia eccessiva.












15/06/2012SCOPERTA NUOVA SPECIE DI UCCELLO IN CINA

Fonte: AGIUna nuova specie di uccello e' stata individuata attraverso lo studio di fossili trovati nella provincia di Liaoning, nella Cina nord-orientale. Il volatile, ribattezzato 'Xinghai' dal nome del Museo paleontologico di Dalian Xinghai dove e' conservato un campione dell'animale, sarebbe vissuto durante il periodo del Basso Cretaceo, circa 125 milioni di anni fa, come riferito da Ji Qiang, ricercatore presso l'Institute of Geology della Chinese Academy of Geological Sciences. Il campione dell'uccello, che e' stato trovato nella citta' di Beipiao alla fine del 2010, era ben conservato, con lo scheletro ancora intatto e tracce delle piume ancora visibili con chiarezza, come ha spiegato Wang Xuri, altro ricercatore dell'istituto. Caratteristiche prossime sia al gruppo degli enantiorniti (gruppo estinto di uccelli primitivi) sia a quello degli orniturini (gli antenati piu' simili agli uccelli esistenti) sono visibili nel campione, dimostrando che questo esemplare e' un antenato comune ai due gruppi. Al contempo,una struttura del dito completamente diversa da quella degli uccelli noti suggerisce che si tratta di una specie finora sconosciuta. I ricercatori dell'Institute of Geology dell'accademia scientifica cinese hanno collaborato con gli esperti del Natural History Museum (NHM) di Los Angeles.












30/05/2012RITROVAMENTO INUSUALE DI SACCHE DI INCHIOSTRO FOSSILE

Fonte: ANSASono state scoperte sacche di inchiostro fossili risalenti al periodo giurassico, 160 milioni di anni fa, appartenute a molluschi simili alle seppie. Sono descritte sulla rivista dell'Accademia di Scienze Americana da un gruppo di ricerca coordinato dall'Universita' della Virginia. Le sacche sono state scoperte nel Regno Unito: per identificare le firme che formano la melanina di colore nero-marrone i ricercatori hanno usato microscopio a scansione elettronica e spettrometria di massa.












09/05/2012FOSSILE E REPERTI ARCHEOLOGICI SCOPERTI ALL'EX DEPOSITO ATAC DI ROMA TIBURINO

Fonte: VIRGILIO.ITÈ un tesoro ancora da studiare quello rinvenuto a dodici metri di profondità, tra via della Lega Lombarda e via Arduino (zona Tiburtina), sotto l’ex deposito Atac. Grazie alle indagini preventive, condotte dalla Soprintendenza ai beni archeologici con la partecipazione della Parsitalia, la società titolare del cantiere i cui lavori di scavo hanno permesso di scoprire quello che si celava sotto il blocco di tufo della superficie, i paleontologi hanno trovato un deposito di fossili animali, alcuni dei quali (un femore e una zanna) appartenuti al progenitore dell’attuale elefante, l’elepha, vissuto circa 650mila anni fa. Oltre ai fossili dei grandi mammiferi, tra i più antichi ritrovati fino ad oggi nel sottosuolo di Roma (i più datati erano quelli risalenti al Pleistocene, 300mila anni fa), l’area di circa 4500 metri quadrati sottostante l’ex rimessa degli autobus custodisce anche alcune strutture appartenute ad un insediamento abitativo, utilizzato dal V secolo a.C. (età repubblicana) fino al Medioevo, e di cui nessuno, come ha sottolineato la direttrice dello scavo Paola Filippini, sospettava l’esistenza. Nel sito, ricco di cisterne e pozzi, gli archeologi hanno riportato alla luce un Mitreo del III secolo d. C e un colombario, decorato con un raffinato mosaico e arricchito da un sarcofago con scene in bassorilievo d'ispirazione cristologica. L’area ospita anche una necropoli con le sepolture risalenti al I secolo d.C. Ad indagini terminate, la Soprintendenza procederà a rendere visitabili (entro il 2012) il Mitreo e il Colombario e, per questa ragione, il progetto urbano a cui la società Parsitalia stava lavorando subirà delle varianti.












06/05/2012FURTO DI UNA ORMA FOSSILE A UMAGO

Fonte: IL PICCOLOUn bel souvenir originalissimo, risalente nientemeno che a 95 milioni di anni fa e non acquistato alla solita bancarella ma asportato con l'uso di una ruspa. Con un po' d’ironia si potrebbe definire così quanto avvenuto sulla riva di San Lorenzo di Daila, dove qualcuno si è portato via una lastra di pietra con l'impronta fossilizzata di dinosauro. L'atto vandalico che per gravità equivale a un vero e proprio crimine contro il patrimonio storico culturale, è stato scoperto e denunciato dallo speleologo Alen Hlaj e dall'archeologa Biljana Petrovic Markezic. Il Ministero dell'ambiente ha già sporto denuncia contro ignoti. Sembra quasi impossibile che nessuno si sia accorto del furto, tenuto conto che per un'operazione del genere ci è voluto un certo tempo, con l'impiego di un camion munito di gru o di una ruspa che sicuramente non passano inosservati. A detta degli esperti, un reperto del genere non finirà nei musei perché sarebbe troppo rischioso. Probabilmente farà da ornamento nel giardino di qualche casa. L'orma del dinosauro sulla pietra rubata era una delle meglio conservate in Istria, nonostante l'azione erosiva del mare. Nel 1995 era stata fotografata e documentata dal paleontologo italiano Fabio Dalla Vecchia che sul posto aveva rilevato una trentina d’impronte di dinosauro della specie teropode carnivoro, bestioni lunghi fino a 22 metri. Il ladro della pietra se scoperto rischia una multa da 4mila a 33mila euro. Il furto fa tornare d'attualità l'annosa questione della tutela inadeguata dei 18 siti paleontologici in Istria. Solo quello di Barbariga, con resti fossili degli animali, è ben tutelato come riserva. Negli altri siti invece come quello di San Lorenzo troviamo tracce fossilizzate del movimento dei dinosauri. Lo spiega lo studioso Slavko Brana, secondo il quale tale patrimonio dovrebbe venire rimosso e portato nei musei dove sarebbe al riparo dalla devastazione degli elementi naturali o dai vandalismi. Certo aggiunge, si potrebbe anche procedere alla tutela in situ, i costi però sono vertiginosi. Per l’astronomo e studioso a 360 gradi Korado Korlevic, direttore del Centro scientifico educativo di Visignano d'Istria, il reperto rubato potrebbe finire in un museo del Nord Italia.












26/04/2012UN MISTERIOSO FOSSILE SCOPERTO IN USA

Fonte: WWW.DITADIFULMINE.ITNessuno ha la minima idea di cosa possa trattarsi, ma un fossile risalente a circa 450 milioni di anni fa sembrerebbe essere ciò che resta di un antico e particolarmente bizzarro essere vivente. A giudicare dai fossili si potrebbe pensare di essere di fronte ad una pozzanghera di fango solidificato, ma secondo lo scopritore Ron Fine, paleontologo amatoriale, e due ricercatori del dipartimento di geologia dell'Università di Cincinnati, potrebbe trattarsi di un organismo completamente nuovo e difficilmente classificabile secondo gli standard moderni. Lo scorso anno Fine, che si dedica alla "caccia di fossili" da ormai 39 anni, ha rinvenuto alcuni frammenti di questa misteriosa creatura in un deposito di sedimenti vicino a Covington, Kentuky, località nota per aver prodotto in un passato relativamente lontano molte formazioni di scisto. "Sapevo di essermi imbattuto in un fossile insolito" sostiene Fine. "Immaginate un cactus saguaro con i rami appiattiti e strisce orizzontali al posto delle sue normali striature verticali. E' la miglior descrizione che possa fornire". "Anche se le formazioni di scisto possono assumere forme davvero affascinanti, sono stato subito certo che non si trattava di scisto. C'era qualcosa di organico in queste forme. Erano affusolate". Il dato curioso è che sono circa 200 anni che i paleontologi scavano nella regione del ritrovamento del fossile, ma nessuno prima d'ora si era mai imbattuto in nulla di simile. "E' definitivamente una nuova scoperta" spiega David L. Meyer, paleontologo che ha partecipato all'analisi del fossile. "E siamo sicuri sia di origine biologica. Non sappiamo tuttavia che cosa sia esattamente". Il lavoro di analisi volto a stabilire l'origine più o meno biologica dei campioni è stato reso possibile dall'incredibile processo di ricostruzione dei fossili di Fine. "Ho collezionato fossili per 39 anni e non ho mai avuto la necessità di scavare. Ma di continuo spuntavano nuovi pezzi di questo fossile. Ho dovuto fare 12 viaggi durante l'estate per scavare altro materiale prima di poter finire". Questa creatura potrebbe essere stata un essere vivente marino di circa due metri di lunghezza. "Quando ho finalmente terminato l'opera di costruzione, la creatura era larga circa 1 metro e lunga poco più di due. In un mondo di fossili delle dimensioni di un pollice, è gigantesca!". "La mia teoria personale" continua Fine, "è che si alzava verticalmente, con i rami che andavano in ogni direzione come un cespuglio. Se ho ragione, i rami più alti avrebbero raggiunto l'altezza di tre metri". Un indizio sulla possibile natura di questa creatura ci viene fornito dai numerosi trilobiti trovati attaccati a ciò che si presume sia stata la superficie inferiore dell'organismo. "Una migliore comprensione del comportamento dei trilobiti potrebbe farci comprendere più a fondo la natura del fossile". Questo nuovo organismo vivente sembra essere differente da qualunque altro noto, e la ricostruzione del fossile ha generato più domande che risposte. Fine e Meyer contano di ottenere l'appoggio di paleontologi provenienti da tutto il mondo, sperando di essere indirizzati sulla giusta strada per comprendere la natura di questa strana creatura. Nel frattempo, è partita la corsa al nome con cui definire questa creatura. I ricercatori propendono per "Godzillus".












16/04/2012PRIMO RITROVAMENTO DI ZACCAGNAITE-3R

Fonte: AGIUn team di ricercatori dell'Istituto Geologico y Minero de Espana e della Universidad Complutense de Madrid ha scoperto nella grotta di El Soplao, Cantabria, un nuovo minerale, la zaccagnaite-3R, unico al mondo. Si tratta del primo caso segnalato di una zaccagnaite formata in una grotta, il che la rende una nuova specie minerale. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista "American Mineralogist". Il nuovo minerale si distingue anche per la sua particolare morfologia ottaedrica e una fluorescenza finora sconosciuta negli idrotalciti naturali (gruppo a cui appartiene la zaccagnaite). Inoltre, dal punto di vista chimico, è molto ricco in alluminio. La zaccagnaite è stata scoperta nel 2001 a Carrara, quando furono trovati solo alcuni cristalli di dimensioni microscopiche, dal momento che il minerale è estremamente raro. Si trattò all'epoca di zaccagnaite-2H, che si trova solo a Carrara, mentre questa trovata in Spagna è zaccagnaite-3R, che finora non era stata trovata in nessun altra parte del mondo. La zaccagnaite di El Soplao è unica poichè si tratta di un un tipo, 3R, precedentemente sconosciuto. La zaccagnaite appartiene al gruppo degli idrotalciti, minerali che hanno un forte interesse nelle applicazioni pratiche, in particolare come catalizzatori nei processi industriali, nel trattamento delle acque e nel settore farmaceutico (ad esempio, nella preparazione di unguenti e cerotti per proteggere la pelle danneggiata e come antiacido per lo stomaco).












14/03/2012RESTI FOSSILI IN CINA: FORSE SCOPERTA UNA SPECIE UMANA

Fonte: ANSAPotrebbero appartenere a una nuova specie umana, i misteriosi resti fossili di uomini preistorici ritrovati in due grotte nel Sud-Ovest della Cina. Vissuti tra 14.500 e 11.500 anni fa, gli ominidi avrebbero avuto un aspetto inedito, un vero e proprio mix di caratteristiche anatomiche primitive e moderne. La scoperta, che potrebbe scrivere una nuova pagina della storia dell'evoluzione umana, e' pubblicata sulla rivista Plos One da un gruppo di ricercatori guidati dall'universita' australiana del Nuovo Galles del Sud, a Sydney. L'uomo nuovo venuto dalla Cina rappresenta un rompicapo per gli esperti, ancora cauti nel classificare i suoi resti fossili definiti come un insolito mosaico di caratteristiche primitive e ancestrali. I fossili potrebbero appartenere a una specie finora sconosciuta, sopravvissuta fino alla fine dell'era glaciale, circa 11.000 anni fa, spiega il coordinatore dello studio, Darren Curnoe. In alternativa - aggiunge - potrebbero rappresentare un'antichissima e finora sconosciuta ondata migratoria di uomini moderni provenienti dall'Africa, una popolazione che non avrebbe pero' contribuito dal punto di vista genetico alle popolazioni moderne. Tuttavia, rileva, e' innegabile che la scoperta apre un nuovo capitolo nella storia dell'evoluzione umana, quello asiatico, e abbiamo appena iniziato a scriverlo. La scoperta nasce dallo studio, iniziato quattro anni fa, dei resti fossili di tre individui scoperti nel 1989 da un gruppo di archeologi cinesi in una grotta a Maludong, vicino alla citta' di Mengzi. A questi si e' poi aggiunto lo scheletro incompleto di un quarto uomo rinvenuto nel 1979 da un geologo cinese in una caverna vicino al villaggio di Longlin. Proprio nella grotta di Maludong sono stati trovati anche resti di carne di cervo rosso cotta, percio' i ricercatori hanno deciso di battezzare questi primitivi come 'popolazione del cervo rosso'. Secondo le prime ricostruzioni, questi individui avrebbero convissuto in Cina con uomini dall'aspetto piu' moderno quando iniziava a diffondersi la pratica dell'agricoltura. E' una rivoluzione per le attuali teorie: finora non erano state trovate in questa regione tracce fossili di specie umane diverse dall'Homo sapiens risalenti agli ultimi 100.000 anni. Per questo si pensava che la regione non fosse abitata dai nostri 'cugini' quando giunsero i primi uomini moderni. A causa della diversita' geografica creata dall'altopiano del Tibet della provincia del Qinghai, la parte sud occidentale della Cina e' nota come un fulcro di diversita' biologica e culturale, e questa diversita' si estende anche nel passato, spiega Ji Xueping, dell'istituto di archeologia dello Yunnan.












10/03/2012SOCCORSO UN CERCATORE DI MINERALI IN LIGURIA

Fonte: LA RIVIERA 24.ITUn uomo, di circa 80 anni, caduto nella boscaglia, mentre cercava minerali, a Pompeiana, all’altezza del bivio Zurchi, è stato soccorso, nel pomeriggio, in un intervento congiunto di vigili del fuoco, 118, Croce Verde di Arma e Soccorso Alpino. L’anziano, per fortuna, ha riportato lievi contusioni ed ha rifiutato il trasporto in ospedale. Sarebbe scivolato e caduto un metro sottostrada.












08/03/2012RICOSTRUTITI I COLORI DEL MICRORAPTOR

Fonte: ANSAUn dinosauro 'vanitoso', grande come un piccione ma colorato come un corvo, che usava le sue piume nere con riflessi iridescenti blu per mettersi in bella mostra durante il corteggiamento: ecco l'ultimo ritratto 'a colori' del Microraptor, dinosauro con quattro ali ma incapace di volare vissuto 130 milioni di anni fa. A tratteggiarlo e' lo studio pubblicato su Science da un gruppo di ricercatori cinesi e statunitensi coordinati dal Museo di storia naturale di Pechino. Il colore del piumaggio del Microraptor e' stato ricostruito per la prima volta partendo dai resti fossili di un esemplare rinvenuto nel Nord-Est della Cina e conservato presso il museo pechinese. Grazie al microscopio a scansione elettronica, i paleontologi hanno studiato forma e distribuzione degli organelli cellulari (chiamati melanosomi) che contengono il pigmento delle piume. Confrontandoli con i melanosomi degli uccelli moderni, i ricercatori hanno stabilito che il Microraptor aveva piume completamente nere con deboli riflessi blu cangianti, le piu' antiche piume iridescenti scoperte finora. ''Gli uccelli moderni usano le piume per diversi scopi, che vanno dal volo alla regolazione della temperatura corporea fino al corteggiamento'', spiega uno degli autori dello studio, il biologo Matt Shawkey, dell'universita' di Akron, nell'Ohio. ''L'iridescenza e' molto diffusa tra gli uccelli moderni ed e' spesso usata per mettersi in mostra. Il fatto che anche il Microraptor fosse in gran parte iridescente - prosegue - ci suggerisce che le piume erano importanti per mettersi in mostra anche nelle prime fase della loro evoluzione''. E che il Microraptor fosse un dinosauro piuttosto vanitoso lo dimostrano anche i dettagli della sua coda. Sebbene fosse piu' stretta di quanto ipotizzato finora, era dotata di due lunghe piume affusolate che non avevano una funzione aerodinamica: secondo questa ultima ricostruzione, infatti, venivano usate esclusivamente per il corteggiamento e per altri tipi di interazione sociale. ''Grazie alla scoperta di numerosi fossili di uccelli e piante fiorite, sapevamo gia' che quello del Cretaceo era un mondo ricco di colori'', commenta Ke-Qin Gao, uno degli autori dello studio che lavora presso la Peking University di Pechino. ''Ora - aggiunge - abbiamo perfezionato ulteriormente questa visione grazie al Microraptor, il primo dinosauro che mostra colori iridescenti. Solo pochi anni fa per noi sarebbe stato impensabile poter fare uno studio come questo''.












07/03/2012LA PIU' ANTICA FORESTA FOSSILE

Fonte: GALILEOGrandi alberi alti oltre 10 metri, simili a palme o felci, piante che si estendevano in orizzontale, e un sistema ecologicamente molto più complesso di quanto si credesse. Così appariva 385 milioni di anni fa la foresta di Gilboa, nei monti Catskill, situati nella parte settentrionale di quello che ora è lo stato di New York. A svelare su Nature i segreti di questa foresta fossile di 1300 metri quadrati, la più antica mai scoperta, è stato Chris Barry della Cardiff School of Earth and Ocean Sciences in Galles (UK). La foresta di Gilboa è stata a lungo un mito per gli scienziati. I primi indizi della sua esistenza risalgono addirittura al 1850, quando nella vicina baia di Schoharie fu ritrovato il primo fossile di un albero dell’era Devoniana. Successivamente, negli anni ’20, durante l’estrazione di roccia da una cava, per costruire la vicina diga di Gilboa, vennero rinvenuti centinaia di grandi tronchi fossilizzati: i resti degli “alberi di Gilboa”. Anche allora fu però possibile raccogliere solo poche informazioni sul contesto geologico degli antichi alberi, il terreno in cui crescevano e la distanza tra le loro basi. Una volta terminata la costruzione della diga, la cava venne chiusa e la foresta rimase ancora una volta nascosta. Solo nel maggio 2010 i lavori per la manutenzione della diga portarono a un parziale svuotamento del sito di estrazione. I ricercatori che monitoravano il sito scoprirono che il selciato originale della cava, finalmente dissotterrato, mostrava ancora le radici e le posizioni dei tronchi: l’antica foresta veniva finalmente alla luce, a disposizione degli studiosi. I risultati di questi primi due anni di ricerche descrivono le basi dei cosiddetti “alberi di Gilboa” come spettacolari depressioni di circa due metri di diametro, circondate da migliaia di radici. Era già noto che questi resti pietrificati fossero i fossili di estinte piante, appartenenti alle Cladoxylopsida, che si riteneva finora fossero le uniche nella foresta di Gilboa. Una delle più grandi sorprese è stata invece la scoperta di molti sistemi orizzontali di rami spessi circa 15 centimetri, che i ricercatori hanno dimostrato appartenere a un'altra specie vegetale (Aneurophytalean progymnosperm) i cui tronchi si estendono principalmente sotto il terreno. I ricercatori, inoltre, hanno ritrovato il campione di un terzo tipo di albero, la cui morfologia è ancora ignota. “Tutto questo dimostra che l’antica foresta di Gilboa fu un sistema ecologicamente molto più complesso di quanto ci aspettassimo, e che probabilmente il legno degli alberi conteneva molto più carbonio. Questo permetterà studi più raffinati sul modo in cui l’evoluzione delle foreste ha cambiato il nostro pianeta e quella delle prime forme di vita”, spiega Barry. Anche per questo la foresta di Gilboa rappresenta un eccezionale laboratorio a cielo aperto.












29/02/2012SCOPERTI RESTI FOSSILI DI PULCI GIGANTI IN CINA

Fonte: LA REPUBBLICALunghe fino a due centimetri, risalenti all'età Giurassica media e al primo Cretaceo. I resti fossili delle giganti pulci succhia-sangue sono stati ritrovati in Cina. I loro corpi sono apparsi privi di ali e presentano alcuni tratti primitivi, come le zampe posteriori non ancora adatte a spiccare i famosi balzi. Per quanto riguarda le dimensioni, le antiche pulci erano significativamente più grandi di quelle che conosciamo oggi: le femmine raggiungono infatti una lunghezza record di 20,6 millimetri, mentre i maschi arrivano fino ai 14,7 millimetri. La scoperta è stata descritta sulla rivista scientifica Nature dal gruppo coordinato da Diying Huang, ricercatore dell'Accademia cinese delle scienze che lavora presso l'Istituto di geologia e paleontologia di Nanchino. Ma la caratteristica più impressionante di questi insetti preistorici rimane comunque il loro apparato boccale. Si tratta di un lungo sifone dentellato, più grande nelle femmine che nei maschi, che veniva usato per bucare la pelle delle vittime da cui succhiare il sangue. Apparentemente, le varie parti dell'apparato boccale sembrano molto più grandi rispetto a quelle delle pulci moderne, ma i ricercatori sottolineano che, se messe a confronto con le dimensioni di tutto il corpo, sono assolutamente proporzionate, come quelle delle loro attuali discendenti. Un ritrovamento importante perché non solo ricostruisce la storia dell'evoluzione di questi fastidiosi insetti, ma serve anche per comprendere meglio come fossero fatte le loro vittime milioni di anni fa. Dalla particolare morfologia delle pulci del Giurassico è infatti possibile dedurre che avessero avuto a che fare con rettili ricoperti di peli e piume prima di adattare il loro 'palato' al sangue dei mammiferi e degli uccelli.












16/02/2012SCOPERTI RESTI FI SPUGNE FOSSILI PIU' ANTICHE DI QUANTO FINORA RITENUTO POSSIBLE

Fonte: FOCUS.ITLa recente scoperta di un gruppo di ricercatori della University of St. Andrews, Scozia, potrebbe far riscrivere una pagina importante della paleontologia: gli scienziati scozzesi hanno infatti ritrovato dei fossili di spugna all'interno di rocce databili tra i 760 e i 550 milioni di anni fa. Se la scoperta fosse confermata, significherebbe dover spostare indietro di 100-150 milioni di anni la comparsa dei primi animali sul nostro pianeta. Le spugne si verrebbero così a trovare proprio alle radici dell'albero dell'evoluzione, tra i progenitori comuni di tutti gli altri animali, uomo compreso. «Questa nuova datazione della nascita degli animali a 760 milioni di anni fa conferma le teorie dei genetisti, che già in passato erano arrivati a questa conclusione analizzando “l'orologio molecolare”, un metodo che consente di stabilire l'età di una specie analizzando la differenze tra il suo DNA e quello delle altre» ha spiegato ai media Tony Prave, autore della scoperta.












15/02/2012SCOPERTO UN DINOSAURO CHE COVAVA LE UOVA

Fonte: ANSAUova e ossa: sono i resti fossilizzati di un dinosauro 'babysitter' trovati nel 2007 da uno studente italiano, oggi ricercatore, dell'università di Bologna. Le analisi del fossile individuato nel deserto della Mongolia sono state ora pubblicate sulla rivista Plos One e indicherebbero si tratti di un esemplare di Oviraptor immortalato nella roccia mentre covava un gran numero di uova, probabilmente di altri suoi simili. "Siamo rimasti lì impalati per dieci minuti. A fissare quella parete di roccia, ridendo come bambini", ha ricordato il ricercatore, Federico Fanti, che durante la spedizione organizzata dal paleontologo canadese Philippe John Curri, ha visto "emergere dalla roccia" i resti fossili di un nido di dinosauri, con numerose uova e i resti di un adulto, molto probabilmente un Oviraptor. La scoperta ha aperto molti interrogativi nell'evoluzione di questi dinosauri molto simili agli uccelli, primo tra tutti il numero di uova identificate nel fossile: si ritiene infatti che gli Oviraptor deponessero soltanto due uova. "Nidiate numerose come quella che abbiamo scoperto - ha spiegato Fanti - si spiegano quindi solo come frutto di deposizioni collettive, con gli adulti che collaboravano alternandosi alla cova". Fra i dinosauri quini non c'erano solo mamme, ma anche babysitter. Altro aspetto importante emerso dallo studio sarebbe la grande longevità, in termini evoluzionistici, mostrata da questo dinosauro i cui fossili era fino a questo momento stati individuati in aree fluviali caratterizzate in passato da climi umidi. Il dinosauro scoperto in Mongolia è vissuto circa 70 milioni di anni fa, nel Tardo Cretaceo, in quello che doveva essere un ambiente desertico. "L'Oviraptor - ha detto Fanti - è l’unico dinosauro del quale siano stati scoperti fossili in un nido, mentre covavano le uova" e dai nuovi studi emergerebbe come avesse un’organizzazione sociale particolarmente sofisticata, andando definitivamente a porre fine all'equivoco legato ai primi ritrovamenti. Questa dinosauro e' stato infatti a lungo considerato un "ladro d'uova" (Oviraptor in latino), ma scoperte più recenti hanno dimostrato che le presunte uova predate appartenevano proprio alla stessa specie e questa nuova scoperta del 'dino sitter' ne dimostrerebbe addirittura una complessa socialità.












10/02/2012AD AGRIGENTO MAXI SEQUESTRO DI FOSSILI

Fonte: ADNKRONOSI carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale della Sicilia hanno recuperato 867 reperti paleontologi, provenienti da varie località siciliane e custodite presso l'abitazione di un cittadino di Sciacca che li aveva raccolti per svariati anni. Si tratta del più importante recupero di reperti paleontologi mai fatto nella regione. Gli importanti reperti vanno dall'era mesozoica alla quaternaria, coprendo un arco temporale che va da duecento milioni fino ad undicimila anni fa. Tra i pezzi più interessanti, i resti di un elefante nano ed un ippopotamo nano, entrambe specie estinte che in epoca preistorica erano diffuse in Sicilia. Il collezionista e' stato denunciato per l'illecito impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato. I reperti paleontologici, così come quelli di natura archeologica, infatti, appartengono allo Stato, chiunque li rinvenga, in maniera fortuita, ha l'obbligo di farne denuncia, entro 24 ore, al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza. Tutti i reperti saranno consegnati al Museo geologico '"G. Gemmellaro" di Palermo, un acquisto prezioso per la collezione dell'importante istituto museale che resterà patrimonio inalienabile di tutta la collettività, a disposizione di qualunque studioso voglia approfondirne la conoscenza.












17/01/2012RITROVATI 314 FOSSILI RACCOLTI DA C. DARWIN

Fonte: E-IL MENSILEGli scienziati britannici hanno rinvenuto decine di fossili raccolti dal grande teorico dell’evoluzione Charles Darwin e dai suoi collaboratori, che erano andati perduti per più di 150 anni. Il dottor Howard Falcon-Lang, un paleontologo della Royal Holloway University di Londra, ha dichiarato oggi di aver trovato per puro caso i vetrini contenenti i fossili lo scorso aprile in un armadio di legno che si trovava in un angolo del British Geological Survey. Attraverso la luce di una torcia che stava utilizzando per scrutare nei cassetti, Falcon-Lang ha visto un vetrino etichettato "C. Darwin Esq.", ma gli ci volle un po’ di tempo per convincersi che la firma era quella di Darwin e che il campione rinvenuto era un reperto di fondamentale importanza per la scienza. Quel vetrino era stato raccolto dal padre dell’evoluzionismo nel corso della famosa spedizione sul Beagle, che determinò la svolta nella carriera del giovane laureato di Cambridge e gettò le basi del suo futuro lavoro. I campioni rinvenuti sono 314 e facevano parte della raccolta realizzata dallo stesso Darwin e da alcuni sui collaboratori, tra cui John Hooker, botanico e migliore amico di Darwin, e John Henslow, mentore di Darwin a Cambridge. "Questa scoperta è semplicemente straordinaria", ha detto Falcon-Lang, "Possiamo vedere che c’è ancora molto da imparare. Ci sono ancora fossili molto molto significativi di cui ignoravamo completamente l’esistenza". Il reperto più "bizzarro" è quello di un prototaxites, un fungo di 400 milioni di anni delle dimensioni di un albero. I vetrini, "meravigliose opere d’arte" secondo l’autore del ritrovamento, contengono pezzi di legno fossile e piante apposti al vetro per essere analizzati al microscopio.












03/01/2012IL PRIMO QUASI CRISTALLO EXTRATERRESTRE

Fonte: ANSAE' di origine extraterrestre l'unico quasi cristallo mai scoperto in natura, ossia un cristallo la cui struttura è solo apparentemente regolare. Lo ha scoperto il gruppo coordinato dall'italiano Luca Bindi, dell'università di Firenze e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). A differenza dei cristalli, i quasi-cristalli hanno la caratteristica di avere una struttura ordinata ma che segue schemi che non si ripetono mai, per la cui scoperta David Shechtman ha vinto il premio Nobel per la chimica 2011. L'inclusione trovata nel frammento di meteorite è costituita da un minerale chiamato icosaedrite, composto di alluminio, rame e ferro. La sua struttura tipica di un quasi cristallo era già stata scopertanel 2009 e descritta in un articolo pubblicato su Science sempre a firma di Bindi. IL minerale trovato in questo campione è stato il primo quasi cristallo scoperto in natura ed ora, dopo le analisi condotte presso ilk California Institute of Technology (Caltech) con tecniche sofisticate, "abbiamo scoperto che il campione esaminato è di origine extraterrestre, cioè la roccia che contiene l'inclusione è un meteorite", spiega Bindi. Scoprire l'origine del quasi cristallo è stato possibile, prosegue il ricercatore, "esaminando gli isotopi di ossigeno del campione, le cui firme, cioè i rapporti fra gli isotopi 16, 17 e 18, ci dicono che si tratta di un meteorite". Caduto in Russia, nelle montagne Koryak il meteorite è conservato presso il Museo di Storia Naturale di Firenze. "E' la prima volta – aggiunge Bindi – che in un meteorite si scopre una lega con alluminio metallico è ciò vuol dire che siamo di fronte a un nuovo tipo di meteorite il cui studio potrebbe rivelarsi importante per ricostruire la storia del Sistema Solare". Nel meteorite i quasi cristalli sono intervallati da cristalli di metalli e silicati; il frammento contiene anche grani di stishovite, un minerale che ha una composizione chimica analoga a quella dei silicati e che si forma in condizioni estreme, come l'alta pressione tipica del mantello terrestre e nei materiali che si formano dopo gli impatti di meteoriti. Secondo gli autori il frammento è simile ad una famiglia di meteoriti ricchi di composti organici, i meteoriti carboniosi, e potrebbe essersi formato circa 4,5 miliardi di anni fa, quando il Sistema Solare era giovanissimo. Gli eventi che hanno portato allo straordinario assemblaggio di minerali trovati nel frammento di roccia restano un mistero, sottolineano gli autori. "La scoperta - rilevano - suggerisce che i quasi cristalli, che fino alla scoperta di questo meteorite erano rappresentati solo da materiali fatti dall'uomo, possono formarsi anche in natura e restano stabili per miliardi di anni".












30/12/2011DINOSAURO FOSSILE TROVATO AD ALGHERO

Fonte: LA NUOVA SARDEGNAA Torre del Porticciolo sono emersi i resti fossili di un enorme rettile vissuto alla fine del Paleozoico, circa 270 milioni di anni fa. La scoperta è stata compiuta da un gruppo di paleontologi dell'Università di Pavia e della Sapienza di Roma. L'esemplare, affine al genere Cotylorhynchus, è il primo grande vertebrato paleozoico che viene scoperto in Italia. I resti fossili ritrovati tra le rocce a nord di Alghero, appartengono tutti allo stesso animale: era lungo circa 4 metri e faceva parte della famiglia dei caseidi, rettili erbivori simili agli attuali ippopotami. La scoperta è descritta sull'ultimo numero di Acta Palaeontologica Polonica di cui dà notizie il sito web di National Geographic. Questi grandi vertebrati erano molto diffusi nel Permiano inferiore-medio (tra i 299 e i 260 milioni di anni fa), ma trovare loro resti è un evento molto raro: gli esemplari scoperti in Europa "si contano sulle dita di una mano", spiega il paleontologo della Sapienza Umberto Nicosia che ha guidato il gruppo di ricercatori ricercatori che hanno scavato e studiato il fossile. In Europa sono stati trovati solo 4 esemplari di caseidi e questo è il primo "italiano", mentre il genere Cotylorhynchus, al quale l'esemplare sardo assomiglia molto, fino a ora sembrava fosse diffuso solo in una ristretta area degli Stati Uniti d'America. La famiglia dei caseidi faceva parte della classe dei sinapsidi, da cui si sono poi evoluti molti milioni di anni dopo i mammiferi. Questa scoperta consente di definire con maggiore precisione la presenza di questi animali in Europa, e soprattutto conferma l'ipotesi di una continuità terrestre tra il Nord America e il continente europeo che, durante il Permiano, avrebbe permesso la migrazione di questi grandi animali. Durante il Paleozoico, 270 milioni di anni fa, Sardegna e Corsica erano ancora saldate alle coste provenzali. Ma a partire dall'Oligocene, circa 30 milioni di anni fa, la micro-placca continentale costituita dalle due grandi isole iniziò a separarsi dalla placca europea, e ruotando verso est raggiunse la posizione attuale circa 16 milioni di anni di anni fa. "Abbiamo studiato nel dettaglio e per molti anni queste successioni continentali permotriassiche, che affiorano in modo spettacolare lungo la costa a nord di Capo Caccia, senza mai imbatterci nel benché minimo fossile", spiega Ausonio Ronchi, stratigrafo del Dipartimento di Scienze della Terra a Pavia. "Poi, per un incredibile colpo di fortuna e grazie alla vista acuta dei nostri studenti Marco Morandotti ed Enrico Bortoluzzi, da questi antichi terreni fluviali sono affiorati i resti di una colonna vertebrale". In cinque campagne di scavo sono state riportati alla luce decine di frammenti ossei, di cui alcuni ancora in connessione anatomica, fatto estremamente raro. I reperti sono stati studiati presso i laboratori della Sapienza, e una volta completate le ricerche torneranno in Sardegna per essere esposti in qualche museo. Il grande rettile, sostengono gli studiosi, probabilmente morì in seguito al crollo di un argine fluviale. L'animale subì poi un rapido seppellimento e ciò spiegherebbe anche perché sulle ossa non ci siano né segni di un lungo trasporto, né tracce di predatori carnivori. I caseidi erano animali molto grandi - potevano raggiungere i 6 metri di lunghezza - e piuttosto sgraziati: avevano un collo cortissimo e una testa molto piccola e sproporzionata rispetto al resto del corpo, mentre le zampe erano particolarmente possenti.












16/12/2011MARTE ED OLIVINA

Fonte: ASTROBIOLOGYUn team di scienziati dell’Oregon ha prelevato microbi dal ghiaccio all’interno di un tubo di lava nelle Cascade Mountains e ha scoperto che possono sopravvivere a basse temperature, in condizioni simili a quelle che si trovano su Marte. I microbi tollerano temperature vicine allo zero e bassi livelli di ossigeno, e possono crescere in assenza di alimenti organici. In queste condizioni il loro metabolismo è guidato dalla ossidazione del ferro da olivina, un minerale vulcanico comune trovato nelle rocce del tubo di lava. Questi fattori rendono i microbi capaci di vivere nel sottosuolo di Marte e di altri corpi planetari, secondo gli scienziati. “Questo microbo è fra i generi più comuni di batteri sulla Terra”, ha detto Amy Smith, una studentessa al dottorato della Oregon State University e fra gli autori dello studio. “È possibile trovare batteri simili nelle grotte, sulla pelle, sul fondo del mare: un po’ ovunque. Ciò che è diverso in questo caso, sono le sue qualità uniche che gli permettono di crescere in condizioni simili a quelle del pianeta Marte.” In laboratorio a temperatura ambiente e con normali livelli di ossigeno, gli scienziati hanno dimostrato che i microbi possono consumare materiale organico (zucchero). Ma quando i ricercatori hanno rimosso il materiale organico, ridotto la temperatura vicino allo zero, e abbassato i livelli di ossigeno, i microbi hanno cominciato ad usare il ferro con l’olivina – un materiale comune che si trova nelle rocce vulcaniche sulla Terra e su Marte – come fonte di energia. “Questa reazione che coinvolge un minerale comune delle rocce vulcaniche semplicemente non era mai stato documentato prima,” ha dichiarato Martin Fisk, un professore dell’ OSU College of Earth, Ocean, and Atmospheric Sciences e autore dello studio. “Nelle rocce vulcaniche direttamente esposte all’aria e a temperature più elevate, l’ossigeno nell’atmosfera ossida il ferro prima che i microbi possono usarlo. Ma nel tubo di lava questo non accade. “Imitando queste condizioni, abbiamo ottenuto che i microbi ripetessero il comportamento in laboratorio,” ha aggiunto Fisk. I microbi sono stati raccolti da un tubo di lava vicino a Newberry Crater nelle montagne dell’Oregon Cascades, ad un’altitudine di circa 5.000 metri. Erano all’interno del ghiaccio sulle rocce a circa 100 metri all’interno del tubo di lava. In realtà, Fisk ha esaminato un meteorite proveniente da Marte che conteneva tracce che potrebbero indicare il consumo di microbi. Tracce simili sono state trovate sulle rocce nel tubo di lava Newberry Crater. “Le condizioni nei tunnel di lava sono così dure come su Marte”, ha detto Fisk. “Su Marte, le temperature raramente arrivano al punto di congelamento, i livelli di ossigeno sono bassi e in superficie l’acqua liquida non è presente. Ma è stato ipotizzato che l’acqua sia presente nel sottosuolo più caldo di Marte. Anche se questo studio non riproduce esattamente quello che si potrebbe trovare su Marte, indica però che i batteri possono vivere in condizioni simili. “Sappiamo per esame diretto, così come attraverso le immagini satellitari, che l’olivina è presente nelle rocce marziane”, ha aggiunto Fisk. “E ora sappiamo che l’olivina può sostenere la vita microbica”. “Quando la temperatura e la pressione atmosferica su Marte erano più alti, come lo sono stati in passato, gli ecosistemi basati su questo tipo di batteri sarebbero potuti fiorire”, ha detto Radu Popa assistente professore alla Portland State University e autore dello studio. “Le impronte digitali lasciate dai batteri sulle superfici minerali possono essere utilizzate dagli scienziati come strumenti per analizzare se la vita sia mai esistita su Marte.”












08/12/2011MARTE: SCOPERTI CRISTALLI DI GESSO

Fonte: CORRIERE DELLA SERANuova conferma (indiretta) della presenza di acqua sulla superficie di Marte. Il rover Opportunity ha riscontrato tracce di un minerale,probabilmente gesso, che proverebbe come nel passato del pianeta rosso fosse presente acqua liquida nel sottosuolo. La scoperta è stata presentata il 7 dicembre al convegno dell'American Geophysical Union a San Francisco. Le tracce sono state identificate in una porzione del bordo del cratere Endeavour. La venatura studiata dal veicolo automatico della Nasa - che ha battuto ogni record di durata e ha percorso 34,5 km dall'aprile 2004 - è lunga 40-50 centimetri e larga 1-2 cm. Lo spettrometro ha rinvenuto calcio e zolfo presenti in un rapporto simile a quello del solfato di calcio, un composto che può esistere in diverse forme a seconda della quantità di acqua legata alla struttura cristallina del minerale. Dalle prime analisi, la sostanza presente sulla superficie marziana sarebbe una forma idrata del composto, probabilmente gesso. L'acqua avrebbe formato questo deposito dissolvendo il calcio contenuto nelle rocce vulcaniche. Il minerale si sarebbe poi combinato con lo zolfo (filtrato anch'esso dalle rocce oppure portato dai gas vulcanici) e si sarebbe depositato sotto forma di solfato di calcio in una frattura del sottosuolo che, con il tempo, sarebbe arrivata a essere esposta sulla superficie del pianeta. L'elevata concentrazione di solfato di calcio presente nella venatura si sarebbe formata in condizioni meno acide rispetto a quelle che avrebbero originato altri depositi di solfato rinvenuti da Opportunity. «Potrebbe essersi formata in un altro tipo di ambiente acquoso, più adatto per ospitare una grande varietà di organismi viventi», ha commentato Benton Clark, esperto dello Space Science Institute di Boulder, in Colorado, che lavora nel gruppo scientifico che segue Opportunity. Lo scorso 26 novembre la Nasa ha lanciato da Cape Canaveral la missione che il prossimo anno arriverà su Marte e sbarcherà Curiosity, un vero Suv destinato all'esplorazione avanzata del pianeta.












25/11/2011SCOPERTE NUOVE 18 SPECIE DI MINERALI ALL'ISOLA DI VULCANO

Fonte: ANSASono 18, e alcune di queste sono uniche al mondo, le nuove specie di minerali individuate nelle isole Eolie, a Vulcano. La scoperta è il risultato della convenzione firmata tra la sezione napoletana dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), ossia l'Osservatorio Vesuviano, e il dipartimento di Chimica strutturale e stereochimica inorganica dell'università di Milano. "Altri 38 minerali sono allo studio e ancora da definire", ha detto, Massimo Russo, dell'Ingv, autore della ricerca con Italo Campostrini, Carlo Maria Gramaccioli e Francesco De Martin, dell'Università di Milano. "Sono minerali di origine fumaroliche - ha aggiunto- e al momento minerali di questo tipo non sono stati trovati altrove. Rientrano comunque nella composizione probabile delle specie che possono che possono essere presenti in vulcani analoghi". La descrizione dei nuovi minerali, pubblicata dall'Associazione Micromineralogica Italiana (Ami) nel volume "Vulcano - tre secoli di storia", è stata approvata dall'Organizzazione Mineralogica Internazionale (Ima), composta di mineralogisti di tutto il Mondo, che funge da organismo di controllo all'approvazione di nuovi minerali. Sono più di cento le specie di minerali finora documentate su Vulcano e 25 di queste al momento sono state trovare soltanto su questa isola. Sono state scoperte utilizzando strumenti di nuova generazione, come microscopi elettronici a scansione (Sem) con analizzatore (Ede) per valutare la composizione chimica, insieme a diffrattometri a raggi-X per polveri e per cristallo singolo. Grazie a questi stessi strumenti, negli ultimi 20 anni il numero delle specie di minerali note nel mondo è aumentato da 2000 a 4700.












15/11/2011NUOVA OPERAZIONE DI RECUPERO FOSSILI DETENUTI ILLEGALMENTE

Fonte: LA REPUBBLICAUn vero "Jurassic Park" privato. Un parco a tema di oltre seimila reperti fossili, antichi fino a 67 milioni di anni fa, di varia natura e tipologia, con frammenti ossei di pochi centimetri e pezzi di almeno due metri, che avrebbero fatto invidia alle fantasie di Steven Spielberg. E' il tesoro paleontologico che si era creato illecitamente un cittadino cinquantenne di San Candido, in provincia di Bolzano, appassionato di dinosauri, scoperto dai carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale. Tra i vari reperti, spiccano tre straordinarie uova fossili di dinosauro erbivoro, il Telmatosaurus transsylvanicus, che arrivava alla lunghezza media di sei metri. Due di queste, sottoposte a indagini paragonabili a una vera Tac hanno svelato al loro interno un cucciolo di dinosauro. Il valore stimato per questi "piccoli" reperti, ciascuno di almeno sessanta centimetri di lunghezza, è di circa 500mila euro. Sono questi la chiave di volta dell'operazione di recupero, illustrata oggi dal generale Pasquale Muggeo, presso la sede romana dell'Ambasciata di Romania. "L'operazione è iniziata in seguito alla segnalazione da parte della polizia romena del furto delle due uova fossili di dinosauro erbivoro dall'importante sito paleontologico di Tustea", racconta Muggeo. Il trafugamento era avvenuto nei primi mesi del 2005, ma la svolta è arrivata solo nel 2009 grazie a una "spavalderia" che è costata cara ai tombaroli di dinosauri. "I malviventi non hanno resistito alla suggestione dei reperti - dice Muggeo - e hanno messo su internet la foto trionfante di una donna col reperto, che l'ha traditi. Tramite la foto abbiamo individuato il gruppo: due romeni, un austriaco e un italiano". E proprio l'italiano ha riservato non poche sorprese al Nucleo dei Carabinieri di Venezia. Si tratta di un cittadino altoatesino, cinquantenne, conosciuto dalle autorità archeologiche della Provincia Autonoma di Bolzano e soprattutto dal Museo di Scienze naturali dell'Alto Adige. In accordo con l'Autorità giudiziaria di Bolzano si è proceduto alla perquisizione della casa a San Candido. "Qui non solo sono state trovate le due uova fossili rubate in Romania - racconta il generale Muggeo - ma anche una terza dello stesso tipo che gli esami tecnici sulle incrostazioni terrose e calcaree hanno permesso di stabilire provenire dal medesimo sito romeno. Reperti tra i più unici al mondo". Oltre a queste, però, sono saltati fuori ben 6.400 reperti fossili di varia tipologia risalenti a 67 milioni di anni fa. "L'uomo è un cinquantenne collezionista appassionato di dinosauri e conosciuto in tutte le Dolomiti - dice Muggeo - E' ben noto allo stesso museo che lo aveva anche autorizzato a fare scavi, da cui però si era appropriato di alcuni pezzi e poi aveva tentato di rivenderli all'istituzione. Ha anche scritto un libro sul settore". Il collezionista di Jurassic Park, deferito per ricettazione, ricerche archeologiche non autorizzate e impossessamento illecito di beni culturali, aveva anche un "compagno di merende". "Dalle perquisizioni sono emersi elementi che hanno allargato le indagini ad un altro cittadino della provincia di Pordenone che ci ha consentito di recuperare 5.000 reperti". Tutti indagati. Se le tre uova di dinosauro erbivoro saranno restituite alla Romania, i circa 11.400 pezzi rimarranno in Italia: "Riteniamo che sia tutto materiale di provenienza altoatesina - avverte Muggeo - anche sulla base della testimonianza del cittadino che ha confessato che gli scavi clandestini sono stati localizzati in Alto Adige. Ora le indagini scientifiche accerteranno la provenienza e a quel punto verranno consegnati alle strutture conservative di pertinenza".












08/11/2011CAVALLI PREISTORICI A POIS

Fonte: ANSAErano realistici i cavalli 'a pois' dipinti sulle pareti delle caverne nel Paleolitico. Finora si credeva che quella colorazione fosse una trovata artistica, ma un'analisi genetica condotta dall'Istituto tedesco Leibnix per le ricerche sulla natura di Berlino dimostra che fra i cavalli preistorici molti avevano realmente quell'aspetto. La ricerca, pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas), si è basata sul materiale prelevato da 31 cavalli fossili trovati in Siberia, Europa Orientale, Europa Occidentale e penisola iberica. Alcuni dipinti delle caverne del Paleolitico, come la grotta di Pech-Merle in Francia, che risale a più di 25.000 anni fa, raffigurano cavalli bianchi con macchie scure e gli esperti si sono sempre chiesti se queste opere descrivessero accuratamente la colorazione dei cavalli che vivevano in quel tempo o se avessero significati più profondi, astratti o simbolici. Il dubbio nasceva dal fatto che finora studi genetici su fossili di cavalli preistorici hanno riscontrato evidenze di cavalli colorati di nero e bai, cioè con crini ed estremità nere e corpo marrone. Lo studio è' il primo a fornire la prova che anche nella preistoria esistevano cavalli bianchi e dimostra che le pitture rupestri dei cavalli sono più realistiche e meno simboliche o fantastiche di quanto si credesse. Esaminando il Dna dei fossili, i ricercatori hanno scoperto che una mutazione genetica associata a un mantello bianco con macchie nere, chiamato a macchia di leopardo, è presente in sei fossili di cavalli europei. Inoltre nel Dna di 18 dei cavalli esaminati è stato identificato il gene responsabile del mantello baio, mentre nel genoma di 7 fossili una variante associata al colore nero. Il risultato fa concludere ai ricercatori che tutti i colori dei cavalli facilmente distinguibili nelle pitture rupestri erano realistici.












03/11/2011COMPARSA DELL'HOMO SAPIENS IN EUROPA: NUOVI DATI.

Fonte: ANSAL'Homo sapiens è in Europa da oltre 40.000 anni ed ha convissuto a lungo con l'uomo di Neanderthal molto a lungo, ma senza scambi ne' culturali ne' genetici. Lo rivela l'analisi dei fossili, tra i quali un dentino da latte, trovati in Italia e in Gran Bretagna, i cui risultati sono pubblicati su Nature. I fossili che hanno permesso di aggiungere un nuovo tassello alla storia dell'Homo sapiens sono quelli trovati della Grotta del Cavallo, in Puglia, e in Gran Bretagna, nel Devon. I fossili risultano essere i più antichi resti di Homo Sapiens finora noti. Si pensava, infatti, che l'Homo sapiens fosse apparso in Europa intorno a circa 35.000 anni fa, in Romania, "ma i ritrovamenti fatti in Puglia nella grotta Grotta del Cavallo di Uluzzo sono i più antichi esistenti e dimostrano che il suo arrivo dall'Africa è precedente di alcuni millenni", ha spiegato l'antropologo Francesco Mallegni, dell'università di Pisa, che ha collaborato allo studio. Le nuove analisi, eseguite da un gruppo internazionale del quale fanno parte le universita' di Pisa e Siena, fanno inoltre luce su una lunga querelle che ha appassionato gli addetti ai lavori sulla possibilita' che i Neanderthal e l'uomo moderno abbiamo condiviso scambi culturali e tecnologici e se i primi avessero evoluto una loro cultura, rimasta a lungo avvolta nel mistero e definita in Italia come Uluzziana. "Negli ultimi dieci anni, grazie a nuove tecniche di datazione dei reperti e di analisi del Dna abbiamo rivisto il quadro cronologico di riferimento che hanno permesso di ricostruire un quadro piu' chiaro", ha spiegato Laura Longo, paleoantropologa del Museo di Storia Naturale di Verona e dell'Ufficio Centro Storico di Firenze dell'Unesco. Il rinvenimento in Puglia, diversi anni fa, di alcuni resti umani considerati erroneamente Neanderthal e delle testimonianze della presenza di una cultura in grado di fabbricare utensili aveva fatto pensare all'esistenza di un incrocio culturale e genetico tra le due specie in una fase di 'transizione', che si concluse con il sopravvento dei Sapiens sui Neanderthal. La nuova datazione e la correzione di attribuzione dei fossili pugliesi, Sapiens non più Neanderthal, chiarisce come la cultura di 'transizione' o Uluzziana fosse originata dagli Homo Sapiens. "Possiamo dire con certezza che c'è stato un lungo periodo, di circa 10.000 anni, di coesistenza tra i due gruppi", ha spiegato Longo, considerata la 'mamma' del Neanderthal dai capelli rossi grazie ai suoi studi genetici su un fossile rinvenuto a Riparo Mezzana. "L'Italia ha dato un contributo fondamentale a risolvere questa lunga querelle" ha concluso Longo. "Grazie ai siti del Nord Italia e agli scavi in Puglia, coordinati da Annamaria Ronchitelli dell'Università di Siena, siamo arrivati alle conclusioni che i due gruppi non hanno avuto scambi, e che i Sapiens, grazie a tecnologie più efficaci e a gruppi più numerosi, hanno gradualmente tolto gli spazi vitali ai Neanderthal".












27/10/2011I DINOSAURI ERANO MIGRATORI

Fonte: ANSAAnche i grandi dinosauri erbivori erano migratori. Questi giganteschi vertebrati, i più grandi che siano mai comparsi sulla Terra, si spostavano stagionalmente dalle pianure fino agli altipiani percorrendo centinaia di chilometri alla ricerca di acqua e cibo. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature e condotto su resti fossili di denti di dinosauro dai geologi statunitensi del Colorado College. La capacità migratoria dei grandi sauropodi è stata svelata per la prima volta dall'analisi dei resti fossili di 32 denti di Camarasaurus, un grosso erbivoro di diciotto metri di lunghezza vissuto nel Nord America nel tardo Giurassico (circa 145 milioni di anni fa) e caratterizzato da un collo più corto rispetto alla lunga coda. I geologi guidati da Henry Fricke hanno esaminato i resti dello smalto dei denti fossili alla ricerca di particolari isotopi dell'ossigeno che rivelassero gli habitat in cui avevano vissuto questi dinosauri giganti. Confrontando i dati con quelli ricavati da campioni di suolo risalenti al Giurassico, i ricercatori hanno scoperto che alcune popolazioni di questi animali migravano stagionalmente alla ricerca di habitat più favorevoli. Per questo si spostavano dagli alvei dei fiumi che correvano lungo le pianure, caratterizzate da periodi di siccità, verso gli altipiani, percorrendo anche 300 chilometri alla ricerca di cibo e acqua.












23/10/2011LE CYCAS FORSE NON SONO COSI' ANTICHE COME SI PENSAVA

Fonte: SCIENCE EXPRESSLe Cycas, genere di piante gimnosperme appartenente alla famiglia delle Cycadaceae da sempre ritenute dei fossili viventi, probabilmente non sono così antiche come si pensava: uno studio condotto dall'Università di Berkeley e pubblicato sulla rivista Science Express riconduce infatti l'origine degli esemplari attualmente viventi a poche milioni di anni fa, smentendo le precedenti convinzioni che le riconducevano al Cretaceo (145-65 milioni anni fa). Piante dall'aspetto simile a palme ma sistematicamente più simili alle conifere, le Cycas sopravvivono attualmente nelle regioni tropicali e subtropicali, contando circa un centinaio di specie differenti alcune delle quali a grave rischio di estinzione. La ricerca in questione ha utilizzato prove molecolari per dimostrare che le Cycas oggi presenti sulla Terra non sarebbero sopravvissute all'estinzione dei dinosauri (alla fine del Cretaceo, circa 65 milioni di anni fa), ma deriverebbero tutte da una comune esplosione evolutiva avvenuta nella famiglia delle Cycadaceae solo 12 milioni di anni fa.












10/10/2011SCOPERTA ABBONDANTE PRESENZA DI TITANIO SULLA SUPERFICIE LUNARE

Fonte: AMERICAN ASTROMONICAL SOCIETYLa Luna è una miniera di titanio, metallo raro e prezioso: lo dimostrano le ultime analisi cartografiche del nostro satellite effettuate dalla sonda statunitense Lunar Reconaissance Orbiter (Lro). Grazie alle immagini ottenute utilizzando sette lunghezze d'onda differenti i ricercatori sono infatti riusciti a dedurre alcune caratteristiche chimiche e geologiche della superficie lunare: tra queste, una relativa abbondanza di ferro e titanio, quest'ultima dieci volte superiore a quella delle rocce terrestri. Il titanio è estremamente ricercato perché sebbene sia resistente come l'acciaio ha un peso specifico pari alla metà: sula Luna si trova principalmente in un minerale detto "ilmenite", composto de titanio, ferro e ossigeno. Ciò che non è certo, è il motivo per cui le rocce terrestri abbiano concentrazioni di titanio ben inferiori rispetto alle rocce lunari. Potrebbe significare che al momento della formazione, l’interno della Luna avesse meno ossigeno. I dati dell’Apollo mostrano che i minerali ricchi di titanio risultano più efficienti nel trattenere le particelle del vento solare, come l’elio e idrogeno. Questi gas offrirebbero anche una risorsa vitale per i futuri abitanti umani delle colonie lunari. La nuova mappa è uno strumento prezioso per la pianificazione di eventuali esplorazioni lunari. Nel corso del tempo i materiali presenti sulla superficie lunare sono alterati dall’impatto delle particelle cariche del vento solare e dall’alta velocità di impatto con i micrometeoriti. Questi processi finiscono per polverizzare la roccia in una polvere fine e alterano la composizione chimica della superficie e quindi il suo colore. “Una delle scoperte più entusiasmanti che abbiamo fatto è che gli effetti degli agenti atmosferici appaiono molto più rapidamente a raggi ultravioletti rispetto al visibile o all’infrarosso. I mosaici hanno dato anche importanti indizi sul motivo per cui vortici lunari – caratteristiche sinuose associate ai campi magnetici sulla crosta lunare – siano altamente riflettenti. I nuovi dati suggeriscono che quando un campo magnetico è presente, devia il vento solare, rallentando il processo di maturazione e la conseguente turbolenza luminosa. Il resto della superficie lunare, che non beneficia dello scudo protettivo di un campo magnetico, presenta una più rapida erosione provocata dal vento solare. Questo risultato potrebbe suggerire che il bombardamento di particelle cariche può essere più importante delle micrometeoriti nel agenti atmosferici la superficie della Luna.












27/08/2011SCOPERTI BATTERI FOSSILI DI 3.4 MILIARDI DI ANNI FA

Fonte: LA REPUBBLICASono la più antica traccia di vita conosciuta e probabilmente tra i primi viventi ad aver popolato la Terra dei primordi, dove l'atmosfera era composta principalmente da zolfo, metano e CO2 e si susseguivano violenti terremoti e eruzioni. Sono stati ritrovati in Australia da un gruppo di ricercatori delle università Western Australia e Oxford che hanno pubblicato il loro lavoro su Nature Geoscience. Questi microorganismi, datati circa 3.4 miliardi di anni, utilizzavano zolfo per reperire energia e sono stati rinvenuti in alcune rocce associati a piccoli cristalli di pirite, probabilmente formati come prodotto del metabolismo cellulare basato su zolfo e solfati. "Finalmente abbiamo la prova che la vita sia comparsa oltre 3.4 miliardi di anni fa e che all'epoca vivessero batteri che non utilizzavano ossigeno", ha spiegato Martin Brasier, uno degli autori della scoperta. All'epoca la Terra era molto più calda di ora, l'acqua dei mari raggiungeva temperature di 40-50 C, e le terre emerse erano molto piccole; questa nuova scoperta conferma le tesi secondo le quali le prime forme di vita avessero un metabolismo basato sullo zolfo. "Questo tipo di batteri è ancora molto comune", ha proseguito Brasier. " facile trovarli in luoghi carenti di ossigeno come pozze calde o camini idrotermali". I fossili sono stati rinvenuti in uno dei più antichi giacimenti di rocce sedimentarie e sono rimaste perfettamente conservate le strutture cellulari.

Solfobatteri











21/08/2011LA TARTARUGA FOSSILE DIMENTICATA

Fonte: L'ARENAQualche anno fa, sulle Masue, non lontano dal Castelliere di Guàite, i fratelli Vincenzo e Fernando Marconi di Cona, con cave e laboratorio per la lavorazione della Scaglia rossa, conosciuta come Pietra di Prun o della Lessinia, nell'estrarre una lastra osservarono sulla stessa lo scheletro fossile di una grande tartaruga. Come obbliga la legge, andarono subito in Comune a Sant'Anna d'Alfaedo a denunciare la scoperta affinché, qualcuno addetto ai lavori, provvedesse al suo recupero. Ritenendo che in cava il fossile non fosse al sicuro, caricarono su un trattore la pesante pietra per portarla nella corte di casa. «Malgrado vari solleciti perché qualcuno venisse a prendersela, oltretutto disturbava», affermano gli scopritori, «è rimasta lì per mesi, per anni». A risolvere la questione ci voleva l'intervento del sindaco, Valentino Marconi, non nuovo, quando occorre, a battere i pugni sul tavolo. E così, dopo un opportuno restauro effettuato dalla ditta Cerato Ichtys di Massimiliano Cerato, di Bolca, col contributo del Parco e della Comunità montana della Lessinia, la lastra di circa 2 metri per 2, con inglobata la grande tartaruga fossile, incorniciata gratuitamente con una lamina di ferro dalla ditta Fratelli Antolini srl Costruzioni meccaniche di Giare, fa ora bella mostra all'ingresso del prestigioso teatro comunale.












21/07/2011UNA LUCERTOLA FOSSILE INCINTA APRE UNA NUOVA PISTA

Fonte: ANSAArriva dalla Cina e risale a 120 milioni di anni fa, il fossile di una lucertola incinta e nel quale sono riconoscibili ben 15 embrioni: è la prova piu' antica che alcuni rettili primitivi (come lucertole e serpenti) non si riproducevano con le uova. A dimostrare che questo accadeva molto prima del previsto, ossia all'inizio del Cretaceo, è la ricerca pubblicata sulla rivista Naturwissenschaften e condotta dal britannico University College London (Ucl) e dall'Accademia Cinese delle Scienze di Pechino. Al fossile della lucertola, lungo una trentina di centimetri esclusa la coda, sono attaccati gli scheletri di 15 piccoli ad uno stadio di sviluppo simile a quello degli embrioni maturi delle moderne lucertole. La mamma lucertola, lunga probabilmente e' morta pochi giorni prima del parto. "In precedenza si riteneva che le lucertole si fossero adattate a partorire successivamente ai mammiferi, ma adesso sembra che lo abbiano fatto contemporaneamente", osserva la coordinatrice della ricerca, Susan Evans, del dipartimento di Biologia dello sviluppo della Ucl. "Questo esemplare - ha aggiunto - è il piu' antico mai visto". La sua esistenza ci dice che l'adattamento fisiologico che permette di fornire agli embrioni un afflusso di sangue adeguato è avvenuto molto precocemente. Il fossile della lucertola è stato trovato nella Cina nord-orientale, nel gruppo Jehol, lo stesso sito nel quale finora sono stati scoperti centinaia di fossili di pesci, anfibi, uccelli e mammiferi, oltre a piante e invertebrati. La lucertola incinta appartiene alla specie Yabeinosaurus. "Sappiamo che viveva vicino all'acqua e forse era in grado di nuotare, sebbene vivesse soprattutto sulla terraferma", ha osservato ancora Evans. "In questo modo - ha concluso - avrebbe potuto portare piu' facilmente in salvo i suoi piccoli fuggendo in acqua per sfuggire a un dinosauro affamato".

La lucertola ritrovata con accanto 15 embrioni











17/06/2011SCOPERTO FOSSILE DI SPINOSAURO IN AUSTRALIA

Fonte: LA STAMPALa scoperta di un fossile di spinosauro in Australia dimostra che quel gruppo di dinosauri, di cui si conosceva la presenza in Europa, Africa e Sudamerica, si era spinto fino all’Australia. Il fossile, trovato a Capo Otway sulla costa a sud di Melbourne, è stato identificato come un pezzo di vertebra del collo. È lungo appena 4 cm, ma la sua forma unica indica che apparteneva indubbiamente a un piccolo spinosauro di circa 2 metri, una specie carnivora caratterizzata dalla "vela" dorsale di lunghe spine connesse da un sottile strato di pelle. La scoperta "riscrive" l’evoluzione di quel gruppo di dinosauri, scrive sulla rivista Biology Letters la paleontologa Patricia Vickers-Rich dell’Università Monash di Melbourne, che ha guidato la ricerca. È un’ulteriore prova della distribuzione globale dei dinosauri nel primo periodo Cretaceo, più di 105 milioni di anni fa, quando la terraferma formava un supercontinente, chiamato Pangea. «Fino ad ora si riteneva che vi fossero gruppi distinti di dinosauri nell’emisfero nord e in quello sud. I nuovi ritrovamenti stanno cambiando la maniera in cui pensiamo,indicano che in quel periodo vi era ancora una fauna universale, che non si era differenziata», aggiunge. Quando gli spinosauri e i tirannosauri vagavano per le pianure polari, l’Australia era ancora connessa all’Antartide. «Molte delle recenti scoperte fossili in Australia mostrano che gli animali si potevano distribuire ampiamente attraverso tutta la Pangea».












17/06/2011I PRIMI MICRORGANISMI AVEVANO UNA CORAZZA ANTIFREDDO

Fonte: ANSAI primi microrganismi comparsi sulla Terra dopo la prima glaciazione, 710 milioni di anni fa, avevano sviluppato delle vere e proprie 'corazze' per resistere alla rigidità del clima. E' quanto rivelano centinaia di piccolissimi fossili rinvenuti in Africa, nel Nord della Namibia, e in Mongolia, da un gruppo di ricercatori dell'università di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (Mit) che, insieme a quelli dello Smith College, pubblicheranno i risultati dei loro studi su Earth and Planetary Science Letters. I fossili, estratti dalle rocce in cui erano intrappolati e osservati al microscopio elettronico, sono i resti di microrganismi simili ad amebe, che sono sopravvissuti al rigido clima post-glaciale proprio creandosi delle corazze da cui sbucavano con delle minuscole protrusioni simili a 'zampe'. Le 'armature', fatte con minerali recuperati dall'ambiente esterno, hanno forme diverse: quelle rinvenute nelle rocce della Namibia sono tondeggianti, mentre quelle della Mongolia sono piu' cilindriche. Questa varietà fa pensare che la vita dopo la fine della glaciazione si sia ripresa molto velocemente. ''Conosciamo abbastanza bene quello che è accaduto fino alla prima glaciazione - spiega la coordinatrice dello studio, Tanja Bosak - ma non abbiamo idea di quello che è successo dopo. Con questa scoperta iniziamo a capire che c'erano molte più forme di vita di quante pensassimo''.












09/06/2011IN UNA GROTTA DEL GARGANO, FORSE SCOPERTE OSSA DI DINOSAURO

Fonte: BLOG AMARA TERRA MIAIl Gruppo Speleologico Montenero, di San Marco in Lamis, ha trovato ossa di considerevoli dimensioni che fuoriescono dalla parete rocciosa di una grotta del Gargano (il luogo non è stato reso noto per ovvie ragioni). Le ossa potrebbero appartenere ad un grande mammifero oppure ad un rettile.












08/06/2011UN UOMO DI 55 ANNI, FORSE IN CERCA DI MINERALI, E' DECEDUTO IN MONTAGNA

Fonte: TICINONEWSUn bernese di 55 anni è morto sopra Ernen (VS) in Svizzera, nella valle di Goms, dopo essere precipitato in un crepaccio. Secondo la polizia vallesana, l'uomo si trovava nella regione alla ricerca di minerali. Il suo corpo senza vita è stato rinvenuto dai soccorritori di Air Zermatt e dai membri della colonna di soccorso di Goms.












25/05/2011OCSE: MULTINAZIONALI LIMITINO SFRUTTAMENTO MINERALI CHE CREANO CONFLITTI

Fonte: ASCANuove linee guida dell'Ocse per promuovere un comportamento aziendale nel rispetto dei diritti umani da parte delle multinazionali e responsabilizzare lo sfruttamento dei minerali che generano i conflitti. Quelli piu' estratti sono coltan, tungsteno e oro, ma anche stagno, wolframite e cassiterite. Sono quarantadue i paesi che si impegneranno con nuove e piu' severe norme di comportamento aziendale attraverso delle linee guida messe a punto per le multinazionali: si tratta dei 34 paesi dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) insieme ad Argentina , Brasile, Egitto, Lettonia, Lituania, Marocco, Peru' e Romania. Le linee guida, non vincolanti, comprendono nuove raccomandazioni sull'abuso dei diritti umani e stabiliscono che le imprese li rispettino in ogni paese in cui operano. Le aziende dovrebbero anche rispettare le norme ambientali e del lavoro: pagare salari decenti, combattere le estorsioni e promuovere il consumo sostenibile. ''La comunita' delle imprese condivide la responsabilita' del ripristino della crescita e della fiducia nei mercati - ha detto il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria -. Queste linee guida aiuteranno il settore privato a far crescere il proprio business in modo responsabile, promuovendo i diritti umani e lo sviluppo sociale di tutto il mondo''. I ministri dei paesi aderenti accetteranno anche una raccomandazione per combattere il commercio illegale di minerali che finanzia il conflitto armato. Lo sfruttamento illegale delle risorse naturali negli stati africani ha infatti alimentato i conflitti in tutta la regione per decenni. I dati sono scarsi, ma si stima che fino all'80% dei minerali che generano i conflitti in alcune zone potrebbero essere contrabbandati. Il commercio illegale aumenta la criminalita' e la corruzione, finanzia il terrorismo internazionale e blocca lo sviluppo economico e sociale. La raccomandazione chiarisce come le aziende possono identificare e gestire al meglio i rischi lungo tutta la catena di fornitura, dagli esportatori ai trasformatori locali di minerali fino alle aziende che utilizzano questi minerali nei loro prodotti. Per mettere a punto queste linee guida l'Ocse e le economie emergenti hanno lavorato a stretto contatto con le imprese, i sindacati e le organizzazioni non governative.












23/05/2011SMARRITOSI DURANTE UNA RICERCA DI MINERALI, E' STATO RITROVATO SOLAMENTE IL GIORNO DOPO

Fonte: LA NAZIONENel parco naturale dell'Oasi di Rocconi, un ragazzo è andato in cerca minerali per uno studio. Immerso nella sua ricerca il giovane, residente a Castel di Piano, si è attardato a ritornare verso la macchina e il buio lo ha sorpreso facendogli perdere l'orientamento. Nella zona il cellulare non ha molto campo e il ragazzo non ha potuto chiamare i soccorsi i quali però, avvertiti dalla famiglia, hanno iniziato la ricerca durante la notte grazie al pronto intervento della SAST (staz. Monte Amiata). All'alba il giovane è riuscito a ritrovare l'orientamento e a tornare verso la macchina, parcheggiata in zona Rocchette di Fazio. I soccorsi lo hanno raggiunto e per il ragazzo la brutta avventura si è conclusa con una nottata passata all'aperto.












16/05/2011TERREMOTO IN GIAPPONE, UN MINERALE AIUTA AD ASSORBIRE RADIAZIONI

Fonte: ANSALa Tokyo Electric Power Co., che gestisce l'impianto nucleare di Fukushima in Giappone, ha iniziato oggi a versare in mare sacchi di zeolite, un minerale che assorbe il cesio radiattivo. I minerali sono stati rilasciati in aree fortemente contaminate da radiazioni nel tentativo di ridurre i danni delle perdite di materiale contaminato.












11/05/2011MALI, NON SOLO ORO; SI VA A CACCIA DI ALTRI MINERALI

Fonte: AGIAFROBasta all'estrazione solo di oro: il Mali sa che le sue miniere sono ricche anche di altri minerali. E ora vuole trovarli. Si parla di nichel, piombo, litio, bauxite, magnesio, fosfati e anche uranio. Non solo: il Mali punta anche sulla ricerca di petrolio. Si tratta di nuove attivita' estrattive in cui e' possibile investire perche' possono garantire al Paese una duratura sostenibilita' economica. La parola d'ordine del Paese ora e' diversificare. Una sorta di imperativo per il Mali che finora ha fondato la sua economia mineraria sull'estrazione di oro: circa 50 tonnellate l'anno che nel 2009 hanno garantito il 70 per cento dell'export e che lo rendono il terzo produttore africano dopo Sud Africa e Ghana. Secondo le previsioni degli esperti, pero', l'estrazione di oro e' destinata a ridursi a partire dal 2014. E il Mali non vuole farsi trovare impreparato. Per questo ha lanciato una campagna di diversificazione dell'attivita' estrattiva per avviare nuovi business e soprattutto per evitare un futuro tracollo economico del Paese. Cosi' varie imprese stanno per dare il via ad attivita' esplorative per cercare nuovi minerali all'interno delle innumerevoli miniere sparse nel Paese. Il governo di Bamako sta individuando anche strumenti per attrarre compagnie petrolifere che vogliano cercare il greggio nel Paese. In questo caso i piu' ricettivi sembrano essere i cinesi.












09/05/2011SULCIS: GLI SCALI MINERARI DIVENTERANNO PORTI TURISTICI

Fonte: L'UNIONE SARDAI vecchi approdi minerari diventeranno porticcioli turistici grazie a un finanziamento di 5 milioni di euro. Il via libera al programma di interventi arriva dalla Provincia di Carbonia Iglesias, che ha predisposto un protocollo d'intesa da siglare con i Comuni di Iglesias, Gonnesa, Buggerru, Fluminimaggiore e Carloforte. L'obiettivo è di sviluppare in modo coordinato il sistema degli approdi minerari del Sulcis Iglesiente, nodo strategico per il potenziamento in chiave turistica del territorio, con ripercussioni positive sull'intera economia, sull'occupazione e sull'aspetto paesaggistico in generale. Gli scali coinvolti nel progetto sono quelli di Tacca Rossa a Carloforte; Porto di Nebida, Portu Banda, Porto Ferro, Porto di Masua, Porto Bega sa Canna, Porto Sciusciau, nel comune di Iglesias; Cala Domestica e Portixeddu nel comune di Buggerru e Fontanamare nel comune di Gonnesa.












08/05/2011SCOPERTO UN NUOVO MINERALI, LA KROTITE

Fonte: AMERICAN MINERALOGISTNel numero di Maggio-Giugno del giornale scientifico “American Mineralogist”, un team di scienziati ha annunciato la scoperta di un nuovo tipo di minerale, chiamato Krotite. Il minerale si è rilevato risalire agli albori del Sistema Solare ed è il componente principale di un insolita inclusione presente in un meteorite chiamato NWA 1934, scoperto nel nord-ovest dell’Africa. Questo oggetti, conosciuti come inclusioni refrattarie, si pensa siano i primi materiali planetari formati nel nostro Sistema Solare, risalendo a molto prima della formazione della Terra e dei altri pianeti. Questo particolare granello è stato chiamato affettivamente “L’uovo spaccato” per le sue caratteristiche sembianze. Il Dr. Harold C. Connolly Jr. insieme al suo studente Stuart A. Sweeney Smith della City University di New York (CUNY) hanno collaborato con l’American Museum of Natural History (AMNH) che ha riconosciuto per primo il granello molto speciale, conosciuto come un inclusione refrattaria ricca in calcio-alluminio. La parola “refrattario” si riferisce al fatto che questi granelli contengono minerali che sono stabili solo ad altissime temperature, il che attesta la loro probabile formazione molto primitiva, in una nebulosa solare altamente condensata e calda. Il frammento è stato spedito alla Dr. Chi Ma, presso il California Institute of Technology (Caltech) per un analisi dettagliata dal punto di vista nano-mineralogico. Dr. Ma ha poi spedito le proprie analisi insieme al frammento al Dr. Anthony Kampf, Curatore delle Scienze Minarli presso il Natural History Museum di Los Angeles County (Nhm), per uno studio di diffrazione. Le scoperte di Kampf sono state confermate dalle analisi di Ma, e hanno mostrato che la componente principale del frammento era un minerale ca bassa pressione composto da un ossido di calcio e alluminio (CaAl2O4) mai scoperto prima in natura. Kampf ha determinato che l’arrangiamento atomico del minerale era molto simile in alcuni aspetti a certi tipi di cemento refrattario (ad alta temperatura). Cosa ne possiamo dedurre dal fatto che un componente del moderno cemento si trova in natura soltanto in un frammento risalente agli albori del Sistema Solare (circa 4.5 miliardi di anni fa)? Questo tipo di investigazioni sono essenziali per decifrare le origini del nostro Sistema Solare. La creazione del composto umano richiede una temperatura di almeno 1500°C. Questo, messo insieme al fatto che il composto si è formato ad una bassissima temperatura, è consistente con l’ipotesi della formazione della krotite in una fase refrattaria della nebulosa solare. Quindi, la probabilità che la krotite sia uno dei più vecchi minerali che abbiamo mai conosciuto è altissima. Studi sull’unicità del “Uovo spaccato” stanno continuando ovunque in uno sforzo di imparare di più riguardo alle possibili condizioni iniziali nella nebulosa e a come si è venuto a formare questo minerale. Oltre alla krotite, il frammento contiene almeno altri 8 minerali, inclusi alcuni che devono ancora essere analizzati e sono del tutto nuovi alla scienza. Per cui state certi che ne sentiremmo ancora parlare di questo meteorite.












04/05/2011RUANDA, STOP EXPORT MINERALI IN ZONE RDC IN CONFLITTO

Fonte: AGIAFROIl Ruanda ha emesso una normativa che vieta la vendita di minerali provenienti da zone della Repubblica democratica del Congo (Rdc) in cui sono in corso scontri armati. La disposizione ha lo scopo di evitare di contribuire al finanziamento di conflitti armati. Nei mesi scorsi l'organismo internazionale di ricerca 'Global Witness' aveva criticato Kigali perche' con l'esportazione di stagno, tantalio, tungsteno e oro poteva indirettamente partecipare al finanziamento dei gruppi armati in azione nelle regioni orientali della Rdc.












14/04/2011UNA NUOVA SPECIE DI DINOSAURO COLMA UN GAP NELLA FAMIGLIA DEI DINOSAURI

Fonte: PROCEEDINGS OF THE ROYAL SOCIETYUn team di scienziati dello Smithsonian Institution ha scoperto un cranio di dinosauro fossilizzato con alcune alcune vertebre che rivelano non solamente la scoperta di una nuova specia, ma anche un anello di congiunzione evolutivo tra due gruppi di dinosauri. La nuova specie, Daemonosaurus chauliodus (letteralmente "dinosauro demonio dai denti sporgenti"), è stato scoperto in Usa, nella località di Ghost Ranch, New Mexico.

Schizzo ipotetico del nuovo dinosauro











30/03/2011RICERCATORI DI BOLOGNA HANNO RINVENUTO UNO SCHELETRO DI DINOSAURO IN TUNISIA

Fonte: CORRIERE DELLA SERAIl bacino e alcune vertebre dell’imponente dinosauro appena scoperto in Tunisia arriveranno a Bologna durante la prima settimana di aprile per essere studiati dai ricercatori dell’Alma Mater che l’hanno ritrovato. «Per farsi un’idea delle dimensioni, basti pensare che queste ossa fossili, da sole, pesano attorno ai cinque quintali», dice Federico Fanti, ricercatore 29enne dell’Ateneo di Bologna, presente al momento della scoperta. Secondo Fanti, si tratta del primo dinosauro completo e il primo grande erbivoro (15 metri di lunghezza) trovato in quella regione. «Ci aiuterà a capire meglio- continua il ricercatore- l’evoluzione dell’Africa settentrionale e delle sue faune di grandi vertebrati e di confrontarle non solo con gli equivalenti europei ma anche con i fossili rinvenuti in Brasile». La scoperta, ricorda una nota dell’Alma mater, è frutto del lavoro di un team di ricerca del Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Bologna nell’ambito di una collaborazione con l’Ufficio nazionale delle miniere della Tunisia. Lo scheletro è in ottimo stato di conservazione e con gli elementi ossei ancora articolati. È stato trovato, ad una profondità di appena 50 centimetri, dopo tre anni di ricerche, nella regione di Tataouine, nella Tunisia meridionale, dove depositi risalenti a circa 120 milioni di anni fa restituiscono preziose informazioni sulle faune che vivevano nel Nord Africa durante il periodo Cretaceo. Durante la prima missione di scavo appena conclusa, è stato possibile mettere in sicurezza le ossa del bacino, lungo da solo oltre 150 centimetri di lunghezza, e diverse vertebre della coda, ognuna di 50 centimetri. Sulla base dei dati preliminari è possibile stimare le dimensioni di questo grande vertebrato in circa 15 metri di lunghezza. Grazie al contributo di Eni Tunisia, è stato «messo in sicurezza» il fossile per un primo trasporto alla sede dell’Office national des mines a Tunisi, l’istituzione tunisina che si occupa del patrimonio geologico e minerario, da dove proseguirà il suo viaggio fino al Museo geologico «Giovanni Capellini» dell’Università di Bologna, dove i reperti saranno preparati e studiati.












27/03/2011FOSSILI E OSSA DI DINOSAURO PER IL DESIGN DELL'IPAD2 PIU' COSTOSO DEL MONDO

Fonte: NANOPRESSOssa di dinosauro e delle ammoliti sono stati prescelti da Stuart Hughes che ha battuto un altro record realizzando l’iPad 2 più costoso al mondo. Si tratta di un modello la cui particolarità non risiede solo nell’oro e nei diamanti che rivestono la parte posteriore del tablet, quanto nei materiali usati per la parte frontale: su questa troviamo infatti l’Ammolite, una gemma ricavata da alcuni gusci fossili provenienti dal Canada e da frammenti di ossa di dinosauro risalenti a 65 milioni di anni fa. Il costo di questa nuova creazione del celebre designer è di 5 milioni di sterline.












07/03/2011SCOPERTI BATTERI FOSSILI IN ALCUNE RARE METEORITI

Fonte: ITALIA NEWSI protagonisti di questa vicenda sono due: il dottor Richard Hoover, astrobiologo della Nasa, ed i fossili di antichi batteri. Hoover ha infatti pubblicato sul Journal of Cosmology alcune affermazioni importanti derivate da un suo ritrovamento. All'interno di meteoriti l'astrobiologo ha individuato tracce fossili di batteri mai visti prima. Questi ritrovamenti, ha affermato Hoover, indicano che la vita non è limitata alla Terra, ma è largamente distribuita, anche al di fuori del sistema solare. I risultati della ricerca saranno sottoposti al vaglio di una commissione esaminatrice che deciderà se la pubblicazione potrà ritenersi scientifica a tutti gli effetti. L'argomento della vita extraterrestre affascina gli umani da sempre ma mai abbiamo potuto toccare con mano le prove inconfutabili di una vita oltre il nostro sistema solare.












12/02/2011SCOPERTO NUOVO GIACIMENTO DI FERRO IN GHANA

Fonte: AGIImportanti giacimenti di minerali ferrosi sono stati individuati nella regione di Shieni, nel Ghana orientale, a ridosso del confine con il Togo. La notizia e' stata data dai media locali, che hanno attribuito la scoperta a tecnici del Gruppo minerario ghanese Inland Ghana Mines Ltd. Interpellate dai giornalisti, fonti del Gruppo hanno confermato la presenza di tecnici nella regione.












14/01/2011NUOVI IMPORTANTI RESTI FOSSILI UMANI SCOPERTI IN ERITREA

Fonte: TMNEWSUn'equipe internazionale guidata dalla Sapienza ha rinvenuto nuovi fossili di Homo, di circa un milione di anni fa, nel bacino sedimentario di Buya in Eritrea. La scoperta, avvenuta il 13 dicembre scorso, fornisce nuove indicazioni su un periodo chiave, ma anche tra i piu' oscuri, della storia evolutiva del genere Homo. I reperti fossili relativi a quest'epoca sono scarsissimi: si parla di circa 8 elementi ritrovati in Africa, per altro piuttosto frammentari, tranne due eccezioni.












14/01/2011NEI MUSEI CINESI LA MAGGIOR PARTE DEI FOSSILI MARINI POTREBBERO ESSERE FASLI

Fonte: SCIENCESono finti, alterati o combinati artificialmente. L'allarme, sulla rivista Science, e' del paleontologo cinese Li Chun. “È un'ingiuria per i visitatori e per tutta la scienza”.












23/12/2010FORSE SCOPERTA UNA NUOVA SPECIE DI HOMO IN SIBERIA

Fonte: Science DailyUn parente degli uomini moderni è stato scoperto di recente, dopo che i paleontologi esperti hanno scoperto che un dito di un uomo trovato in una grotta nel sud della Siberia appartiene ad un gruppo distinto dal Neanderthal e dell'uomo moderno. Un frammento di osso con un dente è stato trovato in una grotta, e l'analisi del DNA ha mostrato che il genoma non appartiene ad alcun uomo di Neanderthal nè all'homo sapiens. I ricercatori hanno stabilito che l'osso è circa di 30.000 anni fa e che appartiene ad una giovane ragazza. Questo gruppo è stato denominato "denisovan" come la grotta dove è stato trovato il fossile, vissuto in Asia nel Pleistocene. Il team internazionale di scienziati guidati da Svante Pääbo del Max Planck Institute di Antropologia ipotizza che i denosoviani erano collegati a uomini di Neanderthal e all'uomo moderno, essendo discesi da un medesimo antenato. Inoltre, un numero di geni appartenenti a questo gruppo si trovano in popolazioni attuali della Melanesia, hanno detto i ricercatori.












17/12/2010FOSSILI, IL DESERTO PERUVIANO E' DEPREDATO DI MOLTISSIMI REPERTI

Fonte: ITALIA OGGIOcucaje, landa desolata chiusa fra le Ande e l'Oceano Pacifico, racchiude un tesoro di fossili marini tra i più agognati al mondo. È proprio qui, dove 40 milioni di anni fa si sono rifugiati incredibili mammiferi marini, che i ricercatori hanno scoperto i giganteschi denti di un megalodon, uno squalo leggendario lungo 15 metri, i resti di un enorme pinguino dal piumaggio colorato e le ossa di un Leviathan melvillei, un capodoglio i cui denti erano più lunghi di quelli del T-Rex. Scoperte preziose per gli scienziati che però esercitano un'attrazione fatale anche su un altro genere di cacciatori: i contrabbandieri. E infatti secondo le autorità peruviane le esportazioni illegali di fossili sono in aumento. Complice anche la legislazione del paese, che non classifica i fossili come patrimonio nazionale e men che meno impone di conservarli all'interno dello stato, a meno di speciali autorizzazioni. Inoltre il governo continua a concedere autorizzazioni alle compagnie minerarie, le cui attività possono danneggiare o distruggere i fossili, come è già successo. E la polizia chiude tutti e due gli occhi. Se aumentano i saccheggi, aumentano anche i sequestri di fossili recuperati illegalmente: solo quest'anno sono stati oltre 2.200 contro gli 800 del 2009.












16/12/2010SEQUESTRATI 6000 FOSSILI AL MUSEO DOLOMYTHOS

Fonte: ALTO ADIGEIl magazzino del museo «DoloMythos» di San Candido (comune in provincia di Bolzano), già oggetto di un sequestro probatorio da parte della Procura della Repubblica, è stato ieri svuotato dai carabinieri del nucleo tutela artistica di Venezia. Sono circa 6 mila i fossili trasportati a Bolzano in speciali contenitori e che dovranno essere attentamente valutati dalla Sovraintendenza ai beni culturali. Ieri la Procura della Repubblica di Bolzano ha confermato che il direttore del museo di San Candido, Michael Wachtler, è stato iscritto sul registro degli indagati per presunta violazione delle norme che regolano il settore e che fanno riferimento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n° 42 . In sostanza la normativa prevede che tutti i reperti paleontologici di rilevanza scientifica siano di proprietà dello Stato e, in Alto Adige per effetto dell'autonomia, della Provincia autonoma di Bolzano. Nel caso del museo di San Candido, il direttore Wachtler avrebbe goduto, secondo gli inquirenti, di un trattamento di tutto favore che si sarebbe spinto oltre la discrezionalità dell'applicazione della legge. Michael Wachtler si è difeso sostenendo di aver sempre avvisato i responsabili provinciali dei propri studi e dei propri ritrovamenti. Ma ciò non basta perchè gli stessi uffici competenti provinciali hanno puntualizzato che il direttore del Museo in questione non ha mai ottenuto alcuna autorizzazione nè avrebbe potuto ottenerla in presenza di fossili di rilevanza scientifica. L'indagine è coordinata dal sostituto procuratore Igor Secco ed è stata avviata sulla base di una segnalazione proveniente dalla Romania ove il direttore del museo, Michael Wachtler (che negli ultimi anni nelle Dolomiti ha scoperto quasi 50 nuove specie vegetali e animali), ha ottenuto proprio di recente due fossili riguardanti altrettante uova di dinosauro. L'inchiesta ha però evidenziato anche una certa leggerezza che sarebbe imputabile agli uffici competenti provinciali. In Provincia l'aria sarebbe cambiata da qualche mese a seguito della nomina di nuovi funzionari. Fino ad oggi però si sarebbe preferito intervenire solo per ingiunzione (invitando cioè Wachtler a consegnare i fossili posseduti) e non per vera e propria denuncia penale come in realtà le disposizioni di legge prevederebbero. A far scattare la nuova indagine, però, ci ha pensato l'Interpol che ha segnalato a livello internazionale la sparizione da un importante sito paleontologico delle due uova fossilizzate di dinosauro rinvenute nel magazzino del «DoloMythos». Sul caso specifico delle uova fossilizzate per il momento Wachtler è indagato per importazione clandestina.












10/12/2010LA RINASCITA DELLO ZIMBABWE PASSA DALL'EXPORT DEI MINERALI

Fonte: AGIAFROLa ripresa economica dello Zimbabwe, dopo il decennio di lacrime e sangue che ha fatto sprofondare una delle nazioni africane con le maggiori potenzialità agli ultimi posti delle classifiche mondiali sullo sviluppo umano, sta prendendo piede. La riscossa passa dal settore minerario, di gran lunga il piu' importante dell'economia locale: secondo i dati del governo di Harare, l'export di minerali superera' per controvalore il miliardo di euro nel 2010, in base alle proiezioni sui primi nove mesi dell'anno, periodo in cui le esportazioni hanno raggiunto gli 810 milioni di dollari, in crescita del 25 per cento circa rispetto ai primi tre trimestri del 2009. Nel periodo in esame, i migliori risultati sono arrivati dall'export di nichel (+120 per cento a 46 milioni di dollari), diamanti (+73 per cento a 110 milioni), platino (+50 per cento a 540 milioni).












20/11/2010LA LAVERIA LAMARMORA HA SUBITO UN CROLLO IMPROVVISO

Fonte: LA NUOVA SARDEGNAA Nebida in Sardegna, crolla una porzione della laveria Lamarmora, patrimonio dell'Unesco. Un’onda marina anomala provocata dallo scirocco ha provocato il cedimento della parete ovest della laveria. La struttura mineraria risale al 1897. L’imponente complesso minerario, costruito dalla Società Anonima di Nebida e ora riconosciuto dall’Unesco come patronio dell’umanità, si sta sbriciolando sotto i colpi delle tremende bordate delle onde del Golfo del Leone e dietro l’incuria che la Regione sta riservando ai siti minerari dismessi. Un cercatore di funghi ha dato l’allarme quando ha notato che una delle sei arcate del magazzino era stata spazzata via dalle onde.












19/11/2010IL COCCODRILLO PIU' ANTICO DEL MONDO SCOPERTO AL MUSEO CAPPELLINI DI BOLOGNA

Fonte: LA REPUBBLICADi eta' circa di 165 milioni di anni fa, è vissuto lungo quella che all'epoca era la costa nord-africana. Il teschio fossile è giunto intrappolato in un blocco di pietra, dello stesso tipo di cui sono pavimentati i portici di Bologna. Il teschio del coccodrillo rinvenuto dentro la pietra è assai simile a quello dei coccodrilli odierni, salvo per gli zigomi insolitamente sporgenti. Comincia tutto nel 1955. La testa di coccodrillo è stata ritrovata in un blocco di pietra proveniente da una qualche cava nei pressi di Sant’Ambrogio Veronese, ad est del Lago di Garda. Il marmista di Portomaggiore che se lo ritrovò in mano, lo affettò, ricavandone lastre larghe due metri circa e spesse alcuni centimetri. Si accorse che quattro di queste contenevano resti fossili diversi dalle solite ammoniti che alla pietra danno il nome. Decide di rivolgersi a degli esperti. Contatta sia quelli di Ferrara, sia quelli di Bologna. Ne scaturisce una contesa con tanto di sequestro delle lastre “incriminate” per ordine del giudice. Dopo qualche tempo la decisione: due lastre vanno al museo di storia naturale di Ferrara, le altre due al Museo geologico Capellini dell’Università di Bologna. Qui vengono esposte a partire dagli anni ’60. La targhetta in basso recita “Metriorhynchus”, vale a dire pressappoco “antico coccodrillo marino ormai estinto”, e anche la datazione è molto approssimativa. E’ qui oggi che lo hanno notato i due giovani studiosi che lo hanno riscoperto. Fanti, che è un geologo prestato alla paleontologia, comincia ad analizzare composizione chimica e datazione della pietra. Cau, che invece è un esperto di anatomia, si dedica allo studio delle ossa fossili. Così si accorgono che "il coccodrillo di portomaggiore" non ha 155 milioni di anni, ma 165, e questo ne fa il più antico mai scoperto sull’intero pianeta, e il primo trovato non solo in Italia, ma lungo la costa nord dell’antico e smisurato continente australe del Gondwana che univa in un unico blocco Africa, America del Sud, Antartide, Australia e India.












18/11/2010MULTA PER RACCOLTA DI MINERALI NON AUTORIZZATA AL PIAN DELLA MUSSA

Fonte: ANSARaccogliere minerali puo' costare multe da centinaia di euro, specialmente quando rientrano nella categoria di pietre semi-preziose. E' accaduto nel torinese, dove la Forestale ha scoperto tre persone alla ricerca di granati della rara qualita' denominata Hessonite. La zona in questione era in Localita' Testa Ciarva, inserita nel Sito di Interesse Comunitario del Pian della Mussa nel comune di Balme. I ricercatori, privi di autorizzazioni, provenivano da diverse parti del Piemonte quali Bolzano Novarese, Oviglio (Alessandria) e S. Mauro Torinese.












28/10/2010SCOPERTI FOSSILI DI UOMINI MODERNI IN CINA 60000 ANNI PIU' ANTICHI DI QUELLI FINORA CONOSCIUTI

Fonte: SCIENCEDAILYNel Sud della Cina, un gruppo di ricercatori ha scoperto dei fossili umani che potrebbe retrodatare notevolmente la comparsa di esseri umani moderni nel Vecchio Mondo orientale. La ricerca, svolta presso l'Istituto di Paleontologia dei Vertebrati e Paleoantropologia a Pechino, è stata pubblicata il 25 Ottobre nella prima edizione online del Proceedings of National Academy of Sciences. La scoperta del primo fossile umano moderno, antico almeno 100.000 anni, rinvenuto nel Zhirendong (Zhiren Cave), fornisce una prova che la nascita dei moderni esseri umani ebbe luogo in Asia orientale, almeno 60.000 anni prima degli umani già noti nella regione. I fossili di Zhirendong hanno un mix di caratteristiche moderne e arcaiche che contrasta con quelle riscontrate nei fossili precedentemente rinvenuti in Africa orientale e nel sud-ovest asiatico, che indicano un certo grado di continuità fra la popolazione umana in Asia e l'apparizione dei primi esseri umani moderni.












25/10/2010SCOPERTO CRANIO DI DINOSAURO IN UNA ROCCIA DEL DUOMO DI VIGEVANO

Fonte: LA REPUBBLICAUna scoperta curiosa e casuale è avvenuta nel Duomo di Vigevano, dove una roccia che sorregge da secoli la balaustrata principale, ha portato il paleontologo dell’Università di Milano, Andrea Tintori, ha riconoscere la presenza di un cranio di dinosauro. La roccia nel quale si trova il cranio è chiamata “Broccatello d’Arzo”. Si tratta di una roccia calcarea, massiccia, prevalentemente rosacea, che si formò nel periodo geologico chiamato Liassico, circa 180 milioni di anni fa. All’interno racchiude molti fossili biancastri, tra cui brachiopodi e i crinoidi, ma l’ambiente in cui formò (acqua basse di un mare molto vasto) non erano quelle in cui vissero i dinosauri, per cui è ipotizzabile che il cranio vi finì trasportato da un qualche evento meteorologico straordinario. Arzo, da dove proviene il blocco, si trova attualmente in Canton Ticino, ma ai tempi della costruzione dell’altare faceva ancora parte del Ducato di Milano, come peraltro testimoniano moltissimi altari delle chiese lombarde costruiti in quel periodo. Gli studi in corso porteranno le risposte finali sul reperto così inaspettatamente ritrovato.












11/10/2010UN DINOSAURO DA 1,3 MILIONI DI EURO

Fonte: SOTHEBYTra le aste internazionali Sotheby’s a Parigi c' stata una curiosa asta di dedicata alla storia naturale, in cui sono stati proposti al pubblico fossili e reperti. L’oggetto più interessante è stato uno scheletro completo di dinosauro, un allosauro per la precisione, dell’altezza di 10 metri e proveniente dal Wyoming. Le attese non sono state smentite: il prezioso fossile ha raggiunto la cifra di quasi 1,3 milioni di euro, record europeo per la categoria. Un altro pezzo degno di nota è uno scheletro di Plesiosaurus arrivato ai 370.000 euro.












10/10/2010TROVATO FOSSILE DI SIRENIO DI 5 MILIONI DI ANNI FA

Fonte: ANSARinvenuti a Campagnatico resti fossili di un mammifero marino, parente dell'attuale dugongo. Il fossile e' stato attribuito alla specie Metaxytherium subapenninum, un sirenio che viveva lungo le coste italiane da 5 a 3 milioni di anni fa. A darne notizie e' Simone Casati, del gruppo Avis mineralogia e paleontologia di Scandicci, il primo a notare alcuni frammenti in un campo. Coinvolto nelle ricerche il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Universita' di Pisa.












23/09/2010SCOPERTE ASTERACEE RISALENTI A 50 MILIONI DI ANNI

Fonte: SCIENCEUn ritrovamento che farà discutere e che ha già aperto la strada a diverse teorie: il fossile di un fiore scoperto nella Patagonia argentina permette di pensare che girasoli, crisantemi, margherite e altri fiori siano apparsi quasi 50 milioni di anni fa nei territori di quello che è oggi il Sudamerica. La scoperta, al centro di un articolo della rivista Science, è stata fatta da Viviana Barreda, peleobotanica dell’Università di Vienna, e ai suoi colleghi del Museo Argentino de Ciencias Naturales e del Consejo Nacional de Investigaciones Cientificas y Tecnicas di Buenos Aires e da Rodolfo Corsolini, direttore del museo 'Lago Guitierrez'. Finora, precisano gli esperti, si sapeva molto poco dell'evoluzione delle asteracee, una vasta famiglia di piante, anche perchè sono state poche le scoperte fatte finora di fossili di tali piante. Dopo il ritrovamento in Patagonia, gli esperti argentini sottolineano che "una riserva antica di asteracee" esisteva in un supercontinente chiamato Gondwana, da cui hanno avuto origine Africa, Sudamerica, Antartide, Australia e India.

Il fiore è intero e ben conservato ed è stato trovato, insieme a granelli di polline, esattamente nella Patagonia Nord-Occidentale, presso il Río Pichileufú.











22/09/2010GRIGIONI (SVIZZERA), MUORE CERCATORE DI MINERALI

Fonte: RSI.CHAnziano sangallese investito da pietrisco in Val Cristallina, nei pressi del Lucomagno. Un cercatore di minerali è morto in Val Cristallina (Grigioni, Svizzera), una valle laterale della Val Medel, poco oltre il Passo del Lucomagno. Il corpo del sangallese 65enne, precisa la polizia retica, è però stato ritrovato solo oggi. La moglie della vittima, non avendo più sue notizie, aveva allertato le autorità nella serata di ieri. Non molto tempo dopo era stata trovata l'auto dell'uomo e i soccorritori hanno quindi proseguito, senza successo, le ricerche con l'ausilio di un elicottero. Solo oggi però i volontari del Club alpino svizzero e la REGA hanno individuato il cadavere a circa 300 metri sotto la vetta del Piz Vallatscha (3073 metri). Secondo la polizia l'escursionista è stato verosimilmente investito da pietrisco staccatosi dalla montagna.












16/09/2010RARI MINERALI DI SILICIO SCOPERTI SULLA LUNA

Fonte: ANSAScoperte sulla Luna regioni che contengono rari minerali ricchi di silicio, simili alla composizione di alcuni materiali sulla Terra. I materiali sono comunque diversi da quelli presenti in aree circostanti e da altri campioni lunari. I minerali descritti in due articoli pubblicati su Science, secondo gli esperti, dimostrano che la Luna ha avuto una storia di processi ignei molto complessa. Le informazioni sono state fornite dalla sonda della Nasa Lunar Reconnaissance Orbiter (Lro). LRO è stato lanciato dal KSC il 18 Giugno 2009 ed ha iniziato la sua missione vera e propria nel Settembre del 2009. I principali risultati della missione includono: nuove osservazioni dei siti di atterraggio delle missioni Apollo; indicazioni che le regioni permanentemente in ombra, e quelle ad esse vicine, potrebbero ospitare acqua ed idrogeno; osservazione del fatto che alcune vaste zone permanentemente al buio sono più fredde di Plutone; informazioni dettagliate riguardo al terreno lunare; osservazione di evidenze che portano a ritenere che la Luna si sia recentemente contratta e che potrebbe ulteriormente restringersi. La sonda ha inoltre scattato fotografie ad alta risoluzione del rover russo Lunokhod 1, dato per disperso da oltre 40 anni. Poiché il rover trasportava un retroriflettore, gli scienziati hanno potuto inviare degli impulsi laser che sono appunto stati riflessi dal sistema. L'utilizzo del retroriflettore fornirà ulteriori ed importanti informazioni sulla posizione e sui movimenti della Luna.












14/09/2010OSSIGENO COMPARSO NELL'ATMOSFERA 300 MILIONI DI ANNI PRIMA DI QUANTO RITENUTO FINO AD OGGI

Fonte: APCOML'ossigeno potrebbe essere apparso sulla Terra quasi 300 milioni di anni prima di quanto sinora stimato. Le prime tracce di batteri che effettuano fotosintesi dell'ossigeno, stando ai risultati ancora parziali delle ricerche del UNSW's Australian Centre for Astrobiology, risalirebbero infatti a 2,72 miliardi di anni fa. L'idea che l'atmosfera del pianeta divenne improvvisamente ricca di ossigeno 2,45 miliardi di anni fa sembra eccessivamente semplificata, spiega il ricercatore David Flannery. La sua equipe ha rinvenuto in Australia fossili ben conservati di stomatoliti (strutture calcaree legate all'attività di microrganismi fotosintetici) datati, appunto, a 2,72 miliardi di anni. Oltre 270 milioni di anni più vecchi delle più antiche prove delle fotosintesi dell'ossigeno, spiega. I nuovi risultati - non ancora inequivocabili, precisano gli studiosi - potrebbero suggerire che il processo non solo è iniziato prima, ma sarebbe stato anche più esteso e graduale di quanto immaginato sinora.












30/08/2010LA MICA, FORSE HA FAVORITO LA VITA SULLA TERRA

Fonte: Journal of Theoretical BiologyNel 2007 a Santa Barbara (Usa), Helena Hansma dell'Università della California, relatrice al meeting della American Society for Cell Biology, ha proposto una nuova ipotesi, detta della vita tra gli strati di mica, che suppone che gli spazi interstiziali tra gli strati di mica possano essere stati un buon posto per consentire alle cellule biologiche di sviluppare i legami e le strutture su cui si basa oggi la vita. Le miche sono minerali molto comune, legati alle rocce magmatiche e metamorfiche, che generalmente si strutturano in pacchetti di cristalli formando strati lisci: al loro interno le cellule e le molecole primordiali potrebbero aver trovato il giusto ambiente chimico-fisico per sopravvivere ed evolvere, creando legami e strutture complessi. Ciò che fa pensare che gli strati di mica e non di altri minerali siano i candidati a tale ruolo sono anche i seguenti punti: Gli spazi interstiziali tra gli strati di mica possono acer protetto e conservato in modo ottimo le molecole, promuovendone la sopravvivenza: la mica, infatti, potrebbe aver fornito il necessario isolamento utile per l'evoluzione senza alcuna influenza esterna, facilitando anzi la formazione dei legami molecolari e quindi la nascita delle cellule. Gli strati di mica sono pieni di potassio: se in passato erano già presenti degli alti livelli di potassio, l'eventuale conferma dell'ipotesi della Hansma potrebbe spiegare l'alto livello di potassio presente attualmente nelle cellule umane. I grossi pezzi di mica presenti nei fondali degli oceani primordiali, avrebbero ricevuto una continua fornitura di energia meccanica, dovuta ai moti ondosi, al sole, alle occasionali infiltrazioni d'acqua. Questa energia potrebbe aver generato una serie di moti verticali che potrebbero aver spinto le molecole ad avvicinarsi e quindi a creare legami. Gli strati di mica, poi, sono molto ospitali nei confronti delle cellule viventi e di tutte le maggiori classi di molecole biologiche, inclusi proteine, acidi nucleici, carboidrati e grassi. Questo vuol dire che l'ipotesi della Hansma è compatibile con quelle ipotesi secondo cui la vita abbia avuto origine dall'RNA, da grumi di grasso o da sistemi metabolici primitivi: infatti, secondo la ricercatrice, il mica world potrebbe aver protetto ciascuno di questi sistemi. La mica presenta poi ulteriori vantaggi se confrontata con altri minerali candidati. Innanzitutto, con il tempo, la maggior parte dei minerali tenderebbero a diventare o troppo umidi o troppo asciutto: all'interno della mica, invece, i cicli di alternanza tra umido e asciutto sono tali per cui le condizioni al loro interno non diventano mai così estreme da impedire lo sviluppo della vita. Inoltre le argille, considerate un possibile materiale ospite per lo sviluppo della vita, a contatto con l'acqua tendono a gonfiarsi: le miche, invece, resistono al gonfiamento e quindi presenterebbero un ambiente relativamente stabile per lo sviluppo di molecole e cellule biologiche. La mica, quindi, consentirebbe sufficienti situazioni favorevoli per le molecole di evolvere e di modificare la dinamica al variare delle condizioni di vita. Inoltre secondo la Hansma, c'è da aggiungere che la mica è un materiale anche molto antico: sono state trovate, infatti, delle miche vecchie 4 miliardi di anni, inoltre in alcuni tipi di miche, come la biotite, sono state trovate tracce di vita primordiale risalenti a circa 3,8 milioni di anni fa. L'interesse della ricercatrice statunitense nei confronti della mica è stato graduale: tutto è iniziato con una pionieristica ricerca sulla realizzazione di tecniche di imaging per il DNA e altre molecole biologiche usando il microscopio atomico (AFM - atomic force microscope) condotta insieme con il marito Paul. La tecnica sviluppata produce immagini ad alta risoluzione che consentono ai ricercatori di osservare e modificare le proprietà molecolari e atomiche. Gli strati di mica sono atomicamente piatti, così è possibile vedere le molecole di DNA sulla superficie della mica senza dover coprire il DNA con qualcosa che lo renda più grande e semplice da vedere. Gli strati di mica sono così sottili (un nanometro) che ce ne sono un milione in un pezzo di mica spesso un millimetro. L'ipotesi della Hansma iniziò a prendere forma alcuni anni fa mentre esaminava al microscopio alcuni campioni di mica raccolti insieme alla sua famiglia in una miniera del Connecticut.

Gli strati interestiziali di mica favoriscono la vita di microrganismi acquatici


Lepidolite in strati









26/08/2010UN CENTRO PER LAVORAZIONE GEMME AD ARUSHA (TANZANIA)

Fonte: AGIAFROAd Arusha, citta' tanzaniana settentrionale, e' stato creato un Centro per il taglio e la pulitura delle gemme, che ospitera' anche un istituto di formazione per la lavorazione dei minerali. Il Centro gemmologico della Tanzania, che ha iniziato l'attivita' con 14 allievi, ha progetti di espansione per il prossimo futuro, grazie al costante aumento dell'attivita' mineraria in tutto il Paese. L'obiettivo del governo e' di procedere alla lavorazione in loco dei minerali estratti dal sottosuolo della Tanzania, e non limitarsi a esportarli grezzi come e' avvenuto finora. L'istituzione del Centro di Arusha e' il primo passo verso la creazione di un'inter-area del Paese dedicata alla lavorazione dei minerali che, secondo alcuni giornali, sarebbe gia' stata individuata sulle colline di Mirerani, nella provincia centrale di Simanjiro.

Arusha











05/08/2010E' STATO RITROVATO IN BRASILE UN FOSSILE DI 215 MILIONI DI ANNI, IL PIU' ANTICO RETTILE VOLANTE FINORA SCOPERTO

Fonte: AnsaIl fossile del più primitivo rettile volante, delle dimensioni di un piccolo pipistrello e risalente a 215 milioni di anni fa, è stato scoperto sulle montagne del Rio Grande do Sul, in Brasile. Il Faxinalipterus minima è secondo gli studiosi dell’Università di Porto Alegre, che hanno condotto la ricerca, l’anello mancante nell’evoluzione degli pterosauri, animali che sono arrivati ad avere un’apertura alare di 12 metri. ”Il primo nome della creatura deriva da Faxinal do Soturno, il luogo brasiliano dove sono stati rinvenuti i fossili – ha detto Cesar Shultz dell’Ufrgs (Università Federale del Rio Grande do Sul) – Era contemporaneo della seconda generazione dei dinosauri. A differenza degli pterosauri finora conosciuti, che si presentano con le caratteristiche di animali totalmente volanti, questo non è un rettile veramente volatore, ma aveva già sviluppate delle ali membranose”. Un dato importante è la tibia e la fibula, ossa delle gambe posteriori, che appaiono separate e non fuse in un unico osso come in tutti gli altri rettili alati. Una proprietà dei dinosauri terrestri.

Faxinalipterus minima











02/08/2010INDIVIDUATO IN SVIZZERA IL REPERTO DEL CANE PIU' ANTICO MAI RITROVATO

Fonte: AtsIl cane più vecchio del mondo è svizzero: due ricercatori tedeschi hanno infatti identificato fra i fossili di numerosi animali trovati nella caverna Kesslerloch, nel canton Sciaffusa, anche la mandibola superiore di un cane. Gli archeologi datano il reperto a oltre 14000 anni: si tratterebbe quindi del più vecchio fossile chiaramente identificabile come quello di un cane. Il materiale era già stato portato alla luce nel 1873. Negli ultimi anni gli archeologi Hannes Napierala e Hans-Peter Uerpmann dell'università di Tubinga hanno però passato parecchio tempo a identificare meglio ogni singolo reperto. È soprattutto la grandezza del dente canino che permette agli studiosi di identificare chiaramente il fossile come quello di un cane: è infatti molto più piccolo di quello dei lupi odierni e dei loro progenitori dell'epoca, le cui ossa sono pure state trovate nella caverna. L'esemplare di cane in questione è vissuto fra 14100 e 14600 anni or sono, spiegano i ricercatori in uno studio pubblicato dalla rivista specializzata "International Journal of Osteoarchaeology". "A quell'epoca gli uomini erano ancora cacciatori e raccoglitori", ha spiegato Napierala all'ATS. A suo avviso Sciaffusa presenta quindi la più vecchia prova certa della presenza del "più grande amico dell'uomo". Maggiori informazioni potrebbero essere fornite da confronti genetici fra diversi cani e lupi preistorici. Il materiale trovato nel canton Sciaffusa si presta bene a questo scopo: la mandibola è infatti in ottime condizioni.












02/08/2010MONTE SAN GIORGIO: DICHIARATO PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITA' ANCHE IL VERSANTE ITALIANO

Fonte: LiberoIl Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO, riunitosi a Brasilia dal 25 luglio al 3 agosto, ha approvato l’ampliamento su territorio italiano del sito del Monte San Giorgio. Il versante svizzero di questo bene è stato inserito nella Lista del patrimonio mondiale nel 2003. La candidatura del progetto di ampliamento, che prevede anche l’attuazione di una gestione transfrontaliera del sito, è stata sottoposta congiuntamente al Comitato dal Governo italiano e da quello svizzero. Il versante svizzero del Monte San Giorgio è iscritto nella Lista del patrimonio mondiale (cfr. riquadro) dal 2 luglio 2003. Oltre alla sua eccezionale testimonianza della vita marina del Triassico, costituisce il punto di riferimento principale per le future scoperte di fossili marini risalenti a quel periodo geologico. Il Comitato del patrimonio mondiale aveva già allora espresso l’auspicio che il sito venisse allargato a tutta la zona interessata dai fossili, vale a dire anche su territorio italiano. Nel febbraio 2009, il Governo italiano e quello svizzero hanno depositato una nuova candidatura, che poneva l’accento sulla partecipazione delle autorità locali. Il Comitato del patrimonio mondiale ha ora accolto tale richiesta. Questo successo è il frutto di un lavoro esemplare di coordinamento transnazionale nella gestione del Monte San Giorgio, che ha portato al riconoscimento del secondo sito transfrontaliero alpino nell’ambito del Patrimonio mondiale. Nel 2008, era infatti già stata iscritta la tratta tra Thusis (Svizzera) e Tirano (Italia) della ferrovia retica, che fa parte del paesaggio culturale dell’Albula/Bernina. Nella regione insubrica, la collaborazione ha coinvolto tutti i livelli: le autorità locali che hanno pianificato una gestione congiunta mediante un sistema che unisce i Comuni svizzeri (rappresentati nella Fondazione Monte San Giorgio) e quelli italiani, la Provincia di Varese, la Regione Lombardia, il Canton Ticino e i due Stati, che hanno siglato un protocollo d’intesa per la gestione comune del sito.

Veduta panoramica











14/07/2010TROVATI NUOVI RESTI DI PRIMATI IN ARABIA SAUDITA

Fonte: Nature e AFPLa scoperta in Arabia Saudita di resti fossili di un primate, fino ad ora sconosciuto, potrebbe aiutare a fare luce sul periodo in cui è avvenuta la separazione tra gli ominidi, antenati dell'uomo, e le scimmie. Lo rivela uno studio dell'Università del Michigan, negli Stati Uniti coordinato da Iyad Zalmout e pubblicato oggi sulla rivista scientifica 'Nature'. Questo nuovo primate, identificato grazie a resti fossili del cranio, del palato e di denti, potrebbe essere vissuto 29-28 milioni di anni fa. Del peso di 15-20 chili, avrebbe caratteristiche che lo fanno rientrare tra i "Catarrini", antenati comuni delle scimmie del "Vecchio mondo" (tra cui gli umani) che hanno narici ravvicinate, aperte verso il basso e separate dal setto nasale. Al contrario, le scimmie del "Nuovo mondo", trovate nel Sudamerica, hanno narici aperte lateralmente e divise. Secondo l'analisi dell'evoluzione del genoma, gli esperti reputano che la separzaione degli ominidi (uomo, bonobo, scimpanzé, gorilla e orango) sia avvenuta tra 35 e 30 milioni di anni fa. Dopo la scoperta di questo nuovo primate "Catarrino", chiamato 'Saadanius hijazensis', i ricercatori del Michigan sono convinti che la divisione tra le due specie sia avvenuta tra 29 e 24 milioni di anni fa.












11/07/2010TROVATI NUOVI FOSSILI DI BALENA NEL DESERTO EGIZIANO

Fonte: EFE - Ministero Ambiente EgizianoIl Ministero Egiziano dell'Ambiente ha annunciato la scoperta di numerosi scheletri fossili di balena, risalenti a circa trenta milioni di anni fa, nella provincia di Fayoum, a sud-ovest del Cairo, come riferito dal quotidiano Al Ahram. La scoperta è stata registrata a nord del Lago di Qarun in uno dei posti del mondo più ricchi di fossili marini. Uno degli scheletri trovati porta ancora il feto, una balena deceduta del parto. Le nuove scoperte sono avvenute nella Valle delle Balene Wadi Hitan, situata a circa 200 chilometri a sud-ovest del Cairo, la depressione di Wadi Rayan nel Fayum. Whale Valley rappresenta solo una piccola parte, che occupa 1.759 chilometri quadrati Wadi Rayan, e l'esistenza di fossili di cetacei ha spinto nel 2005 l'Unesco a dichiarare questa zona Patrimonio Naturale dell'Umanità.

Valle delle Balene nel Wadi Hitan, Fayum (Egitto)











02/07/2010RISALGONO A 2,1 MILIARDI DI ANNI FA I PRIMI ORGANISMI MULTICELLULARI

Fonte: NatureFinora si riteneva che fino a 600 milioni di anni fa la Terra ospitasse solamente organismi unicellulari. I primi organismi multicellulari comparvero sulla Terra già 2,1 miliardi di anni fa. A dimostrarlo è la scoperta, in Gabon, di 250 fossili in ottimo stato di conservazione, descritto in un articolo pubblicato su Nature. Il rinvenimento fatto da un gruppo internazionale di ricercatori, diretti da Abderrazak El Albani dell'Università di Poitiers, rappresenta una scoperta eccezionale. Finora si riteneva che gli organismi pluricellulari avessero fatto la loro comparsa circa 600 milioni di anni fa, in corrispondenza della cosiddetta 'esplosione cambriana', durante la quale il pianeta assistette a una eccezionale proliferazione delle forme di vita in coincidenza con un forte aumento dei livelli atmosferici di ossigeno. La vita apparve sul nostro pianeta 3,5 miliardi di anni fa quando fecero la loro comparsa i primi procarioti, organismi unicellulari privi di nucleo, a cui successivamente si aggiunsero i primi eucarioti unicellulari. Secondo i ricercatori è possibile che a consentire lo sviluppo e la sopravvivenza delle nuove forme di vita multicellulari scoperte in Gabon sia stato il cosiddetto 'Grande evento di ossidazione', un notevole incremento dell'ossigeno atmosferico precedente a quello dell'esplosione cambriana, che ebbe luogo circa 2,4 miliardi di anni fa. Dopo aver controllato che i campioni fossero effettivamente di origine organica grazie alla misurazione degli rapporti relativi degli isotopi di zolfo in essi contenuti, i ricercatori - grazie a una sofisticata tecnica di scansione in 3D, la microtomografia a raggi X - sono stati in grado di ricostruire con buona precisione la struttura interna dei fossili senza danneggiarli. La struttura regolare e chiaramente definita ha mostrato la natura multicellulare di questi organismi che vivevano in colonie. Studiando le strutture sedimentarie del sito di rinvenimento, i ricercatori hanno appurato che questi organismi vivevano in un ambiente marino a una profondità piuttosto bassa, fra i 20 e i 30 metri, solitamente tranquillo, ma periodicamente soggetto all'effetto combinato di maree, onde e tempeste.












30/06/2010SCOPERTI RESTI DEL LEVIATANO

Fonte: ApcomUna balena predatrice che cacciava altri cetacei: il fossile scoperto nel deserto peruviano è stato appropriatamente battezzata in onore di Herman Melville, l'autore di "Moby Dick". Come riporta la rivista scientifica britannica "Nature", Leviathan melvillei era lunga fra i 13 e i 18 metri, dimensioni non dissimili da quelle dei capodogli attuali, ma aveva denti lunghi fino a 36 centimetri, ed era evidentemente un predatore. L'esistenza di un cetaceo simile era stata suggerita da numerosi ritrovamenti fossili succedutisi negli anni - soprattutto di denti fossili isolati - ma è la prima volta che viene recuperato un cranio quasi completo, il che permette di fare luce sulle caratteristiche dell'animale.












25/05/2010UN PESCE FOSSILE DI 85 MILIONI DI ANNI FA RITROVATO A POLAZZO SVELA FINALMENTE I SUOI SEGRETI

Fonte: Journal of Vertebrate PaleontologySulla prestigiosa rivista internazionale Journal of Vertebrate Paleontology compare lo studio su di un nuovo genere e specie di pesce estinto risalente al Cretacico superiore, circa 85 milioni di anni, fa quando il pianeta era popolato dai dinosauri. Lo studio, effettuato dal professore Francisco José Poyato-Ariza dell’Università Autonoma di Madrid (Spagna), ha riguardato i pesci che sono stati scoperti a Polazzo dai soci del Gruppo Speleologico Monfalconese – Sezione Paleontologica del Museo della Rocca di Monfalcone durante le campagne di scavo condotte a partire dagli anni ’90. La nuova specie é stata denominata Polazzodus coronatus, in onore del sito di rinvenimento. Le prime campagne di scavo si svolsero dal 1990 al 1993 sotto la direzione del professore Nevio Pugliese dell’Università degli Studi di Trieste in collaborazione con il Museo Carsico Geologico-Paleontologico di Monfalcone. Dal 1996 lo scavo é effettuato in un secondo sito non molto distante dall’altro, sotto la direzione del paleontologo Fabio Marco Dalla Vecchia, responsabile pure della Sezione Paleontologica del Museo. Polazzodus coronatus era un pesce che popolava i bassi fondali del mare tropicale che durante il periodo Cretacico copriva la regione Friuli Venezia Giulia. Si nutriva di piccoli invertebrati piú o meno coriacei che triturava con i suoi denti emisferici simili a quelli di un’orata. Il gruppo a cui apparteneva – i Picnodonti – si estinse 50 milioni di anni fa. Molti altri reperti appartenenti a pesci, piante e rettili sono stati scoperti a Polazzo, "ma – spiega il gruppo speleologico – non sono ancora stati studiati perché non ci sono fondi a disposizione per sostenere l’attivitá di ricerca scientifica. E’ da rimarcare che né lo Stato italiano, né la Regione Friuli Venezia Giulia, né la Provincia di Gorizia hanno mai sostenuto lo studio di queste testimonianze della vita del passato uniche al mondo. Infatti, Polazzodus é stato studiato da un paleontologo spagnolo".












21/05/2010UN ANTENATO DEL TYRANNOSAURUS REX?

Fonte: SciencedailyUn team internazionale di ricercatori provenienti da Cambridge, Londra e Melbourne ha portato alla luce un osso fossile di anca che sembrerebbe appartenere ad un antenato del Tyrannosaurus rex. Il luogo del ritrovamento è la Dinosaur Cove di Victoria, nel sud-est dell’Australia. Si tratta di una scoperta importante che apre un nuovo scenario agli studiosi. Finora, infatti, erano stati trovati reperti fossili del genere Tirannosaurus solo ed esclusivamente in territori situati a nord dell’equatore. Era quindi maturata l’opinione tra la comunità scientifica che i Tirannosauri avessero popolato solo il nord del mondo. In quel tempo, inoltre, i continenti dell’emisfero australe si erano già separati da quelli dell’emisfero boreale, ma erano ancora uniti tra loro. Ciò fa sperare i paleontologi che nuovi reperti di tirannosauro possano essere scoperti in territori come l’Africa, l’America Meridionale o l’Antartide. L’osso in questione, spiccatamente tipico dei tirannosauri, è lungo 30 centimetri e doveva appartenere ad un animale di circa 80 chilogrammi e lungo 3 metri. Un tirannosauro di ridotte dimensioni, se si paragona ai mastodontici T. rex che erano alti 5 metri e lunghi 13. Il dinosauro, a cui ancora non è stato dato un nome, è vissuto durante il Cretaceo Inferiore, circa 110 milioni di anni fa, 40 milioni di anni prima del successore T. rex. La domanda adesso che si pongono gli scienziati è il perchè i tirannosauri si siano evoluti nei giganti predatori solo nell’emisfero settentrionale e non in quello meridionale. A tali quesiti, ancora però non sono in grado di dare una risposta. Sarà necessario attendere ulteriori scoperte per avere una idea più chiara della storia evolutiva di questi affascinanti dinosauri.












10/05/2010NUOVE NORME PROTEZIONE PROVINCIA BOLZANO

Fonte: AscaApprovati quindi l'articolo 25, relativo all'attrezzatura da usare per raccogliere minerali e fossili, l'articolo 26 relativo alle misure di promozione della tutela della natura, secondo cui la Provincia puo' sostenere con contributi le associazioni che vi si dedicano, l'articolo 26 bis sulla Tutela contrattuale della natura, secondo il quale la Provincia puo' stipulare coi proprietari o gestori di un terreno contratti di diritto privato per remunerare determinate prestazioni, limitazioni o altre misure, e che le relative direttive sono emesse dalla Giunta, l'articolo 27 che prevede che prevede un sistema di sorveglianza e documentazione, con una relazione ogni 6 anni, sullo stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche, come previsto dalla direttiva habitat e della direttiva uccelli, l' articolo 28 relativo a vigilanza e controllo, l'articolo 29 sulla confisca di animali, fossili e minerali in caso di violazione delle norme di tutela. L'aula ha quindi approvato l'articolo 30 che elenca le sanzioni amministrative in caso di violazione delle disposizioni di legge. Via libera anche all'articolo 31 sulla sostituzione di norme di tutela, all'articolo 32 che porta modifiche alla l.p. 17/1987 su protezione della fauna selvatica ed esercizio della caccia, all'articolo 33 che modifica la l.p. 18/1991 sulla raccolta funghi, all'articolo 34 che modifica la l.p. 16/1970 sulla tutela del paesaggio, all'articolo 35 che abroga norme esistenti, all'articolo 35 bis sulla disposizione finanziaria, all'articolo 36 riguardante l'entrata in vigore della legge 60 giorni dopo la sua pubblicazione nel Bur.












10/05/2010TRACCE DI NEANDERTHAL NEL GENOMA DELL'UOMO MODERNO

Fonte: ApcomUno dei misteri che avvolgevano i Neanderthal, gli ultimi ominidi ad aver condiviso il pianeta con l'Homo Sapiens, era se fra le due specie vi fosse stata ibridizzazione: contrariamente a quanto si pensava, la risposta è affermativa, almeno per quel che riguarda le popolazioni asiatiche ed europee. Una piccola percentuale (tra l'1% e il 4%) del nostro patrimonio genetico risalirebbe infatti ai Neanderthal, come risulta da uno studio dell'Istituto Max Planck di Antropologia Evoluzionistica di Lipsia, l'Università della California e la Harvard Medical School, che ha paragonato il materiale genetico ricavato da alcuni reperti fossili con quello del moderno Homo Sapiens. L'interbreeding sembrerebbe quindi aver avuto luogo dopo che Homo Sapiens aveva lasciato l'Africa per iniziare ad espandersi sugli altri continenti, ma gli specialisti avvertono che studi più approfonditi - soprattutto sulle popolazioni dell'Africa nordorientale - potrebbero rilevare le medesime tracce. Un fatto rimasto però inspiegato è che mentre sembra dunque esserci del trasferimento di materiale genetico da Neanderthal a Homo Sapiens non c'è traccia del flusso contrario. Assai meno primitivo di quanto si pensi comunemente, l'uomo di Neanderthal viene considerata la specie di ominidi più vicina ad Homo Sapiens, con il quale condivise l'habitat (Europa e Asia occidentale) per circa 50mila anni fino ad estinguersi 30mila anni fa. Secondo gli studi dei biologi e dei paleontologi che hanno analizzato il Dna mitocondriale - trasmesso per via femminile - di cinque fossili la popolazione dei Neanderthal non superò mai i 7mila individui, tutti discendenti di un'unica donna vissuta circa 110mila anni fa. Questo non implica che si trattasse della prima Neanderthal della storia, solo che all'epoca in cui visse la popolazione si era ridotta drasticamente: le analisi, condotte su fossili trovati in diversi siti europei, mostrano che la specie possedeva una diversità genetica di appena un terzo rispetto degli esseri umani nel loro insieme. A causare il calo demografico potrebbe essere stato un improvviso peggioramento delle condizioni climatiche, un problema particolarmente difficile per una società organizzata in gruppi molto piccoli e nomadici; va notato che nella stessa epoca la popolazione di Homo Sapiens viene calcolata in almeno 20mila individui.












30/04/2010I MARZIANI ESISTONO. SONO ALGHE FOSSILI.

Fonte: Nature e La StampaUna pellicola di ghiaccio d’acqua misto a una serie di «mattoni della vita», come alcuni composti organici, avvolge 24 Themis, uno dei più grandi asteroidi che si trovano nella fascia compresa fra Marte e Giove. La scoperta, pubblicata su «Nature», rafforza l’ipotesi che gli asteroidi potrebbero aver portato acqua e materiali organici sulla Terra e che potrebbero essere stati loro a dare «il calcio d’inizio» alla vita sul nostro pianeta. A rivelare per la prima volta la presenza di acqua e molecole organiche su un asteroide sono arrivati due gruppi di ricerca Usa delle università Johns Hopkins e della Florida Centrale. Su Marte vi sono fossili di alghe di acque stagnanti contenuti nel gesso proprio come ne sono stati ritrovati sul letto del Mar Mediterraneo, risalenti a circa sei milioni di anni fa. A svelare l’esistenza sul Pianeta Rosso di quella è considerata la più tradizionale prova di esistenza di forme di vita sono stati i «rover» della Nasa, Opportunity e Spirit, che dal 4 gennaio 2004 si trovano su Marte, durante una recente missione per verificare le prove della presenza di solfati. A dare l’annuncio è stato William Schopf, direttore del Centro di studi sull’origine della vita all’Università di California a Los Angeles: «I fossili trovati nel gesso includono organismi molto simili a quelli che si trovano nei nostri oceani, come il phytoplankton, i cyanobatteri». E la sorpresa è doppia, tenendo presente che «fino a questo momento nessuno aveva preso in considerazione l’ipotesi che il gesso potesse contenere forme di vita». Per la comunità scientifica è un risultato che va oltre le più ottimistiche previsioni. «La Nasa si è spinta in avanti come mai prima nel raccogliere prove sull’esistenza di forme di vita su Marte» commenta Jack Farmer, ricercatore dell’Arizona State University a Tempe, dicendosi «ottimista» su possibili nuovi spettacolari passi in avanti. Schopf rende omaggio all’opera dei mini-robot a energia solare che la Nasa lanciò in orbita il 10 giugno 2003: «Dobbiamo ringraziarli per averci fatto sapere, trasmettendo immagini molto chiare, che su Marte vi sono aree molto vaste coperte di diversi tipi di solfati, incluso il gesso, che comprendono fossili di alghe di acque stagnanti». Steve Squyres, capo degli aspetti scientifici della missione dei rover, precisa che «il gesso è composto di solfato di calcio ed è stato ritrovato in una immensa regione di Marte denominata Meridiani Planum». A suo avviso, presto le sorprese potrebbero moltiplicarsi, perché c’è anche un’altra novità: «Abbiamo riscontrato la presenza di metano nell’atmosfera e ciò pone la reale eventualità che vi siano ancora oggi forme di vita», in quanto «il metano è una molecola che dovrebbe estinguersi molto velocente e, se questo non avviene, è legittimo chiedersi se la fonte sia biologica». Riguardo alla scoperta dei «rover» la tesi di Squyres è che per essere del tutto certi della sua validità «bisognerebbe riuscire a portare delle pietre marziane sulla Terra». La Nasa ha già pianificato almeno 30 missioni destinate a cercare prove di vita nello spazio, inclusa una per portare sulla Terra pietre marziane attraverso tre navette in sei anni. E’ Squyres a spiegare il progetto: «La prima dovrà prendere le pietre e parcheggiarle in un posto sicuro su Marte, la seconda prenderle a bordo, decollare e posizionarsi in un’orbita predefinita, dove la terza arriverà per portarle sulla Terra come se fosse un aereo-cargo». E’ lo stesso Squyres ad ammettere tuttavia che si tratta di «un progetto di difficoltà infernale», «ma la posta in palio potrebbe essere più alta». La Nasa ha in serbo missioni anche per esplorare gli oceani sotterranei di Europa, luna di Giove, e dei vulcani di ghiaccio su Enceladus, luna di Saturno. Proprio nell’ambito di queste missioni lo scorso novembre la Nasa ha lanciato il telescopio «Kepler» per poter identificare nella nostra galassia la presenza di pianeti con dimensioni simili alla Terra.












29/04/2010SCOPERTI SU ASTEROIDE GHIACCIO E MATTONI DELLA VITA

Fonte: AnsaPer la prima volta sono stati scoperti sulla superficie di un asteroide ghiaccio d'acqua e "mattoni della vita" come composti organici. La scoperta, pubblicata su Nature, rafforza l'ipotesi che gli asteroidi potrebbero aver portato acqua e materiali organici, mattoncini della vita, sulla Terra, così come la teoria che potrebbero essere stati gli asteroidi a dare "il calcio d'inizio" alla vita sul nostro pianeta. A rivelare la presenza di acqua e molecole organiche sull'asteroide 24 Themis, uno dei più grandi che si trovano nella fascia compresa fra Marte e Giove, sono arrivati in modo indipendente due gruppi ricerca americani, coordinati da Andrew Rivkin della università Johns Hopkins e da Humberto Campins della università della Florida Centrale. Sebbene minerali idrati (prodotti dalla interazione di acqua con la roccia) siano stati già identificati sulla superficie di asteroidi, è la prima volta che su un asteroide si ha un'evidenza diretta della presenza di acqua, anche se allo stato ghiacciato. Il risultato è stato ottenute grazie alle osservazioni condotte con gli strumenti a infrarossi del telescopio della Nasa sul picco Mauna Kea, nelle Hawaii: questi hanno individuato una pellicola di ghiaccio che avvolge tutto l'asteroide, miscelata con lunghe e complesse catene di materiale carbonaceo. Intrappolate nei meteoriti, queste molecole, "potrebbero essere cadute sulla Terra dando un calcio d'inizio allo sviluppo della vita", ha osservato uno degli autori, Joshua Emery della università Johns Hopkins.












25/03/2010UOMO DI DENISOVA NON E' ANTENATO DI HOMO SAPIENS

Fonte: NatureUn nuovo ritrovamento fossile potrebbe costringere i paleontologi a riscrivere la storia dell’evoluzione umana: l’analisi del Dna rinvenuto in un frammento osseo dimostra infatti l’esistenza di un ominide vissuto 40mila anni fa in Siberia di un tipo sconosciuto e che non avrebbe lasciato discendenza diretta. L’ultimo antenato comune all’«Uomo di Denisova» e all’attuale Homo sapiens risalirebbe ad un milione di anni fa: il nuovo ominide rappresenterebbe dunque il risultato di una migrazione dall’Africa differente e precedente sia a quella degli antenati dell’Uomo di Neanderthal (avvenuta circa mezzo milione di anni fa) che di quella dell’Homo sapiens (circa 50mila anni fa). Fino ad oggi si riteneva che le uniche due specie di ominidi presenti sul pianeta 40mila anni fa fossero Homo sapiens e l’Uomo di Nenaderthal, con la possibile aggiunta del piccolo Uomo di Flores, scoperto in Indonesia nel 2003 e i cui resti fossili più recenti risalgono a 13mila anni fa. Come si legge nello studio pubblicato dalla rivista Nature, l’analisi del Dna è stata resa possibile grazie ad una falange ritrovata in una caverna della località siberiana di Denisova.












25/03/2010SCOPERTE IN TRENTINO TRACCE FOSSILI DI 240 MILIONI DI ANNI

Fonte: Trentino corriere delle alpiSul fianco meridionale della Val Gerlano in alta Vallarsa, a monte degli abitati di Specheri e Ometto, i geologi del Museo di scienze naturali di Trento hanno fatto una entusiasmante scoperta: lastre di roccia rossa sulle quali hanno riconosciuto circa 200 orme fossili di rettili risalenti a 240 milioni di anni fa, antecedenti ai dinosauri ai Lavini. Le nuove orme appartengono a quattro differenti animali, antenati di lucertole, coccodrilli e dinosauri. «La scoperta - ha spiegato Marco Avanzini, geologo e coordinatore del gruppo di lavoro - è di rilievo scientifico. Queste sono le prime orme di rettili immediatamente precedenti la comparsa dei dinosauri trovate in Trentino. Alcune hanno una forma unica, questo ci fa pensare a specie nuove. Questo ritrovamento aggiunge importanti dati, che ci permetteranno di ricostruire gli antichi ambienti dell’Italia settentrionale e di studiare le relazioni tra gli stessi». I ricercatori sperano ora di continuare le ricerche, «per cercare le relazioni tra rocce e fossili trovati in varie parti del mondo - racconta Avanzini - e comprendere la prima fase dell’evoluzione dei rettili che sarebbero diventati dinosauri e la loro radiazione (dispersione) di grande successo». Nel Triassico gli strati rocciosi delle orme erano parte di una costa sabbiosa. Gli autori delle orme erano animali di piccole dimensioni, qaudrupedi, plantigradi e semi-plantigradi. Le tracce più numerose sono di animali simili a lucertole o meglio alle attuali iguane, lunghi fino a 70 centimetri. Abbondanti sono poi le orme di rettili simili a dinosauri (in miniatura) del peso di 800 grammi e lunghi 30 centimetri. Infine ci sono orme di animali di aspetto simile a piccoli coccodrilli, lunghi circa un metro. Il ritrovamento è stato possibile perchè l’erosione dei torrenti che incidono il fianco della valle ha portato allo scoperto per circa due chilometri di ampiezza, in quattro siti, le rocce con le orme. I geologi pensano che molte altre rocce segnate possano trovarsi coperte dalla vegetazione o dalle stratificazioni rocciose. L’indagine paleontologica è stata condotta nell’ambito del progetto di ricerca Openloc, finanziato dal Servizio ricerca della Provincia, coordinato da Geremia Gios, del dipartimento di economia dell’università e sindaco di Vallarsa. L’obiettivo di Openloc è individuare e misurare il ruolo del capitale naturale e sociale dei territori. In questo caso si tratta di capire come valorizzare il sito, come farlo conoscere alla popolazione e ai visitatori e come ricavarne un vantaggio economico locale. Insomma, si deve capire come le orme vecchie di milioni di anni possano rivitalizzare l’economia di un territorio periferico come la Vallarsa.












12/03/2010PICCOLI «CIAULA» IN MINIERA

Fonte: AvvenireSembra quasi di vederli quei "carusi" siciliani di otto-nove anni, con le gambe storte e le spalle curve sotto il peso di canestri pieni di roccia mista a zolfo, mezzi avvelenati dalle esalazioni, arrampicarsi per chilometri tra ripide salite e scalinate incavate nella roccia. Migliaia di «Ciàula» che per duecento anni rappresentarono la fortuna economica dell’entroterra siciliano e non videro mai la luna, come il protagonista della novella di Pirandello. Sono loro i protagonisti di un mondo scomparso da mezzo secolo e che tornerà a vivere grazie al Museo delle solfare di Trabia Tallarita. Dopo sei anni di lavoro e un investimento di oltre 5 milioni e mezzo di euro, la Soprintendenza ai beni culturali di Caltanissetta, diretta da Rosalba Panvini, ha restituito al pubblico uno straordinario esempio di archeologia industriale che si estende per circa seimila metri quadrati. La Regione siciliana, dieci anni fa, ha acquisito al proprio demanio questo bene etno-antropologico, per recuperare i complessi esistenti, con gli annessi edifici industriali che ancora si conservano, i macchinari e le attrezzature utilizzate per la lavorazione del minerale. Il vasto altopiano gessoso-solfifero, tra i più grandi d’Europa, per anni disabitato e lasciato in stato di abbandono, è stato valorizzato per ricordare e fruire di un patrimonio universale, «dove la storia del genere umano s’intreccia con la storia della sua terra e delle sue ricchezze dove la fatica degli uomini si è profondamente intersecata con lo sviluppo e l’evoluzione della società». Nei giorni scorsi il taglio del nastro del primo lotto di lavori che ha consentito la realizzazione del museo nell’edificio dell’ex centrale elettrica Palladio. Si tratta di uno spazio didattico-multimediale, unico in Sicilia, dove gli esperti, coordinati dal direttore dei lavori Alessandro Ferrara, responsabile del servizio per i Beni architettonici della Soprintendenza, hanno ricostruito i vari aspetti dell’attività delle miniere di zolfo: dalle strutture edili a quelle industriali, alla vita degli uomini impiegati nelle varie fasi della lavorazione. Il visitatore potrà guardare, ascoltare, respirare momenti della vita dei minatori, grazie a ricostruzioni tridimensionali. «È la creazione di un polo culturale e turistico attorno al bacino solfifero più importante della Sicilia - sottolinea il direttore dei lavori -, in cui la storia e i tanti volti anonimi che hanno segnato o sono stati segnati da questi luoghi, vadano idealmente scolpiti a futura memoria». Nel plesso sarà anche possibile visitare installazioni contemporanee di artisti siciliani, la mostra di pitture sul tema, la mostra fotografica "Sùlfaro e sulfatari", il Salone della "truscitella" con prodotti enogastronomici locali e una collezione di rari minerali. Il tutto accompagnato da cantastorie che racconteranno la vita nelle miniere, tratta anche dai versi di Ignazio Buttitta, poeti ed ex "carusi" che testimonieranno il duro lavoro dello zolfataro, segnato da toccanti e tragiche vicende umane. Una sorta di macchina del tempo, propedeutica all’avvio di un distretto minerario della Regione siciliana, fra Sommatino, Riesi e tutto il Nisseno, capace di recuperare, valorizzare e mettere in rete l’ingente patrimonio del sottosuolo siciliano, per la nascita di un circuito turistico intorno al ciclo dell’industria siciliana dello zolfo dalla fine del Settecento alla seconda metà del Novecento. Questo importante aspetto dell’economia della Sicilia centro-meridionale raggiunse il momento di massima espansione attorno al passaggio tra il XIX e il XX secolo. Basti pensare che nel 1901 risultavano occupati nel settore 38.922 individui, mentre nel 1905 in Sicilia si estrassero 536.782 tonnellate di zolfo, pari al 91% di tutta la produzione mondiale. Una realtà industriale significativa poi colpita da una crisi irreversibile, che ha determinato contestualmente la cessazione di ogni attività lavorativa e l’abbandono traumatico di un patrimonio ingente, i cui "segni" persistono ancora oggi, riconoscibili nelle strutture obsolete degli impianti dei bacini minerari.












04/03/2010I DINOSAURI POTREBBERO ESSERE NATI 10 MILIONI DI ANNI PRIMA

Fonte: NatureUn team composto da paleontologi europei e statunitensi ha scoperto i fossili di una creatura che ritengono possa aver vissuto 10 milioni di anni prima dei dinosauri di cui abbiamo conoscenza. I risultati, pubblicati nella rivista Nature, avvalorano la teoria secondo la quale i dinosauri ed altre creature a loro vicine, come gli pteurosari (rettili in grado di volare), potrebbero essere vissuti prima di quanto finora ritenuto. È la prima volta che gli scienziati che studiano il Triassico (ovvero l'era compresa tra i 250 e i 200 milioni di anni fa) scoprono il fossile di una creatura simile a un dinosauro in Africa. Le specie in questione, chiamata Asilisaurus kongwe, è sì legata alla famiglia dei dinosauri, con i quali aveva molte caratteristiche comuni, ma non vi apparteneva completamente. La relazione che intercorre tra questa specie e i dinosauri è analoga a quella che lega gli scimpanzé agli esseri umani. I primi dinosauri di cui abbiamo notizia risalgono a 230 milioni di anni fa: la scoperta dell'Asilisaurus, antenato dei dinosauri vissuto 10 milioni di anni prima, lascia supporre che la linea evolutiva dei dinosauri si fosse divisa già 240 milioni di anni fa. I fossili della specie Asilisaurus kongwe sono stati ritrovati nell'area meridionale della Tanzania, in Africa. Il ritrovamento, nello stesso letto fossile, di resti di coccodrilli primitivi fa pensare che la diversificazione delle specie appartenenti alla famiglia dei coccodrilli e degli uccelli sia avvenuta rapidamente e prima di quanto ritenuto in passato dai paleontologi. Grazie ai resti di altri 14 esemplari della stessa specie rinvenuti nello stesso letto fossile i paleontologi sono stati in grado di costruire uno scheletro pressoché completo. La ricostruzione ha dimostrato che le creature misuravano tra i 50cm e 1 metro di altezza e da 1 a 3 metri di lunghezza per un peso compreso tra i 10 e i 30kg. La dieta di questa specie, che camminava su quattro zampe, era composta da vegetali o da vegetali e carne. I denti triangolari e l'estremità molto simile a un becco della mascella inferiore lascia supporre che fossero sia onnivori che erbivori. Questi caratteri scheletrici si sono evoluti indipendentemente almeno in due linee evolutive appartenenti alla famiglia dei dinosauri, in specie originariamente carnivore. Proprio questo suggerisce che la possibilità di passare da una dieta erbivora a una dieta carnivora abbia ampliato i confini del loro habitat e abbia pertanto costituito un vantaggio evolutivo. La ricerca suppone che questi sviluppi evolutivi si siano verificati almeno tre volte durante l'evoluzione dei dinosauri e delle specie legate alla stessa famiglia nell'arco di meno di 10 milioni di anni. "Tutti amano i dinosauri", ha affermato il professor Sterling Nesbitt dell'Università del Texas ad Austin (Stati Uniti). "Questa nuova prova suggerisce che i dinosauri furono solo uno dei grandi gruppi di animali che si diversificarono durante il Triassico: i silesauri, gli pterosauri e vari gruppi di coccodrilliformi. "Questo dimostra che vivevano interi gruppi di animali di cui non abbiamo mai trovato traccia ma che erano numerosi durante il Triassico", ha aggiunto. "È emozionante perché significa che ci sono ancora moltissime possibilità di fare scoperte". Il team di ricerca comprendeva il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University (Stati Uniti), l'American Museum of Natural History e il Museum für Naturkunde in Berlin (Germania).












02/02/2010RECUPERATI FOSSILI LIBANESI DI 99 MILIONI DI ANNI FA

Fonte: Reuters ItaliaRecuperati importanti fossili libanesi di 99 milioni di anni fa. L'operazione, condotta dal reparto operativo carabinieri Tutela patrimonio culturale, in collaborazione con la Farnesina e le autorità di Beirut, ha portato al sequestro di diversi reperti fossili, tra cui due esemplari di pesci ossei, dell'Era Mesozoica, databili al periodo Cretacico (epoca susseguente al Giurassico), risalenti a 99-93 milioni di anni fa, oltre ad alcune decine di reperti archeologici romani ed etruschi. A finire nei guai è stato un imprenditore 64enne, residente, a Roma, nel quartiere di Monte Mario, accusato di reato di contrabbando aggravato e subito deferito all'autorità giudiziaria. Gli accertamenti tecnico-scientifici, compiuti sui beni paleontologici ritrovati dai militari dell'Arma, con l'ausilio di Umberto Nicosia, professore dell'Università "La Sapienza" di Roma, Dipartimento di Scienza della Terra, hanno permesso di confermarne l'autenticità dei beni recuperati, evidenziarne l'alto livello qualitativo e attribuirne la provenienza certa dal territorio libanese. Stamane il comandante del reparto operativo dei carabinieri, colonnello Raffaele Mancino, ha provveduto a restituire i fossili, provenienti dal Libano, all'ambasciatore libanese, a Roma, Melhem Mistou. Sono stati restituiti ieri 11 febbraio dal Ten. Col. Raffaele Mancino, Comandante del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, all’Ambasciatore del Libano a Roma, Melhem Mistou, alcuni fossili di natura paleontologica, di provenienza libanese. La seganalzione sul traffico di materiale archeologico illecito era stata fatta dalla Direzione Generale dei Beni Archeologici, la Sezione Archeologia che ha constatato, che un cittadino italiano aveva richiesto al competente Ufficio Esportazione la certificazione di avvenuta importazione da Biblos (Libano) a Roma, di un fossile di razza. Quest’ultimo ente, pur avendo rilasciato quanto richiesto, dubitando sulla regolarità dell'esportazione da quel paese, ha allertato il Ministero Affari Esteri ed il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Infatti il cittadino italiano, un imprenditore sessantaquattrenne, aveva con sé, al momento dei controlli varia merce estera, in particolare pietre fossili, ritenute importanti ed oggetto di tutela dalla normativa libanese, di cui non era dimostrabile la legittima provenienza, risultando invece violate le normative esistenti in Libano che dettano precise disposizioni concernenti la detenzione e l’esportazione di reperti archeologici. Il Reparto Tutela patrimonio Culturale ha proceduto quindi alla perquisizione, rinvenendo e sequestrando, presso l’abitazione dell’imprenditore, nel quartiere Monte Mario di Roma, diversi reperti fossili costituenti un esemplare completo di raiforme (razza). Nel corso dell’attività, sono stati sequestrati anche altri due esemplari di pesci ossei, tutti fossili dell’Era Mesozoica, databili al periodo Cretacico (epoca susseguente al Giurassico), risalenti a 99/93 milioni di anni fa, nonché alcune decine di reperti archeologici romani ed etruschi. Gli accertamenti tecnico-scientifici, compiuti sui beni paleontologici con l’ausilio del prof. Umberto Nicosia, dell’Università “La Sapienza” di Roma, Dipartimento di Scienza della Terra, hanno permesso di confermarne l’autenticità, evidenziarne l’alto livello qualitativo ed attribuirne la provenienza certa dal territorio libanese. Il cittadino italiano, per il quale è stato ipotizzato il reato di contrabbando aggravato, è stato deferito all’Autorità Giudiziaria. Quest’ultima ha disposto la restituzione dei fossili alle autorità diplomatiche del Libano anche in considerazione della rinuncia alla proprietà espressa dall’indagato.












22/01/2010TANZANIA, STOP A EXPORT PIETRE PREZIOSE 'GREZZE'

Fonte: AgiafroLa Tanzania ha deciso di bloccare le esportazioni di minerali e pietre preziose grezzi. La decisione e' stata annunciata dal ministro dell'Energia e delle Miniere, William Ngeleja, secondo il quale il Paese dell'Africa orientale punta a massimizzare i profitti esportando minerali e pietre preziose gia' lavorati. In un intervento alla commissione parlamentare Miniere ed Energia, Ngeleja ha anche affermato che il governo sta per varare una nuova normativa in grado di favorire un aumento dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle miniere. Il ministro ha spiegato che l'esecutivo auspica, tra l'altro la realizzazione di "sinergie tra il settore minerario e gli altri comparti produttivi, al fine di rafforzare l'economia nel suo complesso.












20/01/2010NOVITA' RIGUARDO LA POSSIBILITA' DI VITA SUL PIANETA MARTE DAL METEORITE ALH84001.1

Fonte: NasaNuovi esami chimici compiuti sul meteorite marziano ALH84001.1, aggiungono elementi a sostegno dell’ipotesi di presenza di tracce di vita microbica nel meteorite di Allan Hills, trovato nel 1984. Nuovi esperimenti vengono condotti per ri-analizzare le vecchie prove, in funzione delle nuove scoperte, e monta l’entusiasmo sia della Nasa che di altri team di astronomi e astrobiologi. I nuovi risultati sono frutto dell'uso di un avanzato microscopio elettronico ad alta risoluzione, che è riuscito a ricavare dati impossibili da trovare nel 1996. Il meteorite fu recuperato da Roberta Score, che faceva parte di una squadra di ricercatori di meteoriti americani, al interno di un progetto chiamato Ansmet. Al momento della scoperta pesava 1931 grammi, e come altri suoi simili fa parte della famiglia dei meteoriti marziani (Shergottite, Nakhlite, Chassignite). E’ uno dei frammenti più antichi di tutta la terra, è probabilmente dell’intero sistema solare, con la sua cristallizzazione che risale a circa 4.5 miliardi di anni fa. Per quanto riguarda le origini, le analisi chimiche portano a pensare che sia proveniente da Marte, e che si sia formato su Marte dopo un catastrofico impatto meteoritico. Un altro grosso impatto, circa 15 milioni di anni fa, l’ha portato nello spazio, per poi arrivare sulla Terra approssimativamente 13.000 anni fa. Le datazioni sono state individuate mediante una serie di tecniche di datazione radiometrica: samario-neodimio, rubidio-stronzio, potassio-argo e con il metodo del Carbonio 14. Il 6 agosto 1996, un articolo di David McKay della Nasa, presentava le prove che c’erano tracce di vita sul meteorite. Usando un microscopio elettronico a scansione, vennero rivelati alcuni microrganismi, considerati batteri fossili per via della loro forma. Con un diametro tra i 20 e 100 nanometri, le loro dimensioni e caratteristiche sembravano simili a quelle dei nanobatteri terrestri, ma più piccoli comunque di qualsiasi altro tipo di forma di vita cellulare conosciuta. Escludendo la possibilità di un eventuale contaminazione, se tali organismi fossero veramente forme di vita fossilizzate, sarebbero la prima evidenza concreta dell’esistenza di una forma di vita extraterrestre. L’annuncio fece cosi tanto clamore che finì sulle prime pagine di tutti i media del mondo, e l’annuncio ufficiale fu dato dal presidente statunitense Bill Clinton in diretta tv. I test eseguiti in seguito furono tantissimi, e trovarono prove di materiale organico: amminoacidi e idrocarburi policiclici aromatici. Tuttavia, molti esperti dimostrarono con il passare degli anni, che non si trattava di autentica vita extraterrestre ma di contaminazioni di biofilm terrestri. E dimostrarono come si poteva arrivare a strutture simili, partendo da basi non biologiche. Molti obbiettarono che una forma di vita su Marte era altamente improbabile come ancor più improbabile era l’idea che una forma di vita potesse sopravvivere a due ambienti cosi diversi tra di loro come Marte e Terra. Comunque, dopo le scoperte nei ultimi anni grazie a Spirit, Opportunity, Phoenix e Mars Recconoissance Orbiter, ora sappiamo che molto probabilmente non solo l’acqua c’è ancora su Marte, ma c’era anche al tempo del impatto che portò questo frammento sulla Terra. Tornando però alla nuova ricerca, i scienziati, hanno usato i nuovi microscopi per analizzare direttamente i dischi di carbonati, ed i piccoli cristalli magnetici associati ad essi , presenti al interno del meteorite. I nuovi più dettagliati dati riguardo a queste associazioni e strutture magnetiche cristalline, riescono a contraddire una buona parte delle vecchie teorie secondo cui non si poteva trattare di tracce di forme di vita. Adesso, 13 anni dopo che il team che presento nel 1996, la prima ricerca, comincia a sentire il sapore della vendetta. I loro dati mostrano che anche se non si trattasse di vita marziana nel meteorite, ci sono evidenti prove a supporto dell’esistenza di vita sulla superficie di Marte, o nel acqua sotto la superficie, nella prima parte della storia marziana. La loro ricerca è incentrata sui "batteri magnetici", che sulla Terra, e cosi apparentemente anche su Marte, lasciano tracce distintive, nelle pietre. Inoltre, le strutture hanno una purità chimica molto più simile a quella biologica che quella geologica. Dr Dennis Bazylinski, lavora preso il laboratorio del Università di Nevada, studiando proprio questi tipi di forme di vita qui sulla Terra, è si e detto molto entusiasta della nuova ricerca riguardo al meteorite perché secondo lui le prove che si tratti di tracce di nanobatteri magnetici sono molto forti. Bazylinski dichiara: Lavoro con batteri magnetici e in questo caso l’indicazione della presenza di questi ultimi sull’antica superficie di Marte, ed i cristalli magnetici presenti nel ALH84001.1, sono davvero incredibilmente somiglianti a quelli dei batteri magnetici terrestri. Quando nel 1996 avevamo presentato questi dati, pensavo che facilmente si potesse trattare di un errore, invece adesso, grazie ai nuovi microscopi e le nuove analisi, non ho alcun dubbio, non c’è nessun errore. La domanda che a questo punto deve trovare una risposta certa è se questi cristalli magnetici possono essere associati ai fossili magnetici, ma come dichiara lo stesso Bazylinski, ci sono studi di batteri magnetici terrestri che producono forme identiche a quelle presenti nel meteorite. Altri risultati importanti arriveranno prossimamente con la ricerca dal Dr Joseph L. Kirschvink di CalTech, appena tornerà dalla regione situata fra il passo di Drake e Cape Horn, in Antartide, dove sta conducendo nuovi studi. Comunque, sul suo sito web, ha scritto un messaggio riguardo alle nuove scoperte sul meteorite di Allen Hill: ” Uno dei usi più interessanti dei fossili di batteri magnetici, riguarda il caso del meteorite ALH84001.1, dove si potrebbe considera la loro presenza come bio-marcatori della presenza di vita su Marte. E’ molto interessante pensare che potremmo usare la presenza di questi cristalli, come marcatore della presenza di vita del posto che stiamo studiando .” Per tanti anni, gli oppositori della teoria secondo cui ci sono tracce di vita nel meteorite hanno obbiettato dicendo che quelle forme sono causate dal shock chimico-termico in seguito al impatto meteorico, che ha spedito il frammento nello spazio. Ma adesso sembra invece molto più probabile che invece si tratti di tracce di nanobatteri magnetici. Anche se, non sono da considerare forme di vita, quelle nel meteorite, sono prove molto forti che su Marte ci sia almeno stata vita. I dati della ricerca verranno pubblicati a breve con un nuovo comunicato ufficiale da parte della Nasa, e potrebbero giocare un ruolo molto importante nella scelta e programmazione delle futuri missioni spaziali. Gli autori principali della ricerca sono: Kathie Thomas-Keprta (autore principale), Simon Clement, David McKay (che guido' il team di ricerca originale), Everett Gibson e Susan Wentworth, tutti del Johnson Space Center.












19/01/2010MESSICO, FORSE SPIEGATA LA GENESI DELLA GROTTA DEI CRISTALLI GIGANTI

Fonte: AnsaUn cristallo di 11 metri di lunghezza: sulle origini di una simile meraviglia della natura si interrogano, fin da quando è stata scoperta in Messico, gli scienziati. La rivista New Scientist ripropone il tema e ne fornisce una spiegazione: sarebbe da attribuire a sbalzi tra periodi secchi e periodi umidi. Nelle grotte vicino a Naica, in Messico, alcuni anni fa sono state trovate delle enormi formazioni di cristallo di selenite, un particolare tipo di gesso, che arrivano fino agli 11 metri di lunghezza e 2 metri di diametro. Gli scienziati, che hanno fin da subito cercato di dare una spiegazione ad un tale record della natura, hanno stabilito che la causa è stata l'oscillazione del clima nella zona. Piu' volte infatti, negli ultimi 200.000 anni, si è passati da una situazione caratterizzata da forte umidita' ad una opposta. Si è trattato, come hanno affermato gli autori della ricerca, di un'insolita combinazione di fattori geologici e geochimici. Infatti alla bassa salinità, che contraddistingueva l'ambiente delle grotte e quindi alla scarsa predisposizione alla formazione di cristalli, si è sovrapposto, per i giochi climatici, la formazioni di fluidi altamente salini. Questo processo ha cosi' consentito la nascita di queste formazioni record di cristallo.

Cristalli record di selenite (Messico)











16/01/2010GROSSETO: CADE IN POZZO PROFONDO 10 METRI, SALVATO DAI VIGILI DEL FUOCO

Fonte: AdnkronosE'caduto in un vecchio pozzo in disuso, profondo dieci metri, ma è stato salvato dai vigili del fuoco. Protagonista un cercatore di minerali di 70 anni, che stamani è scivolato accidentalmente in un pozzo a Capanne di Massa Marittima (Grosseto) sulle Colline Metallifere, in Maremma. Alle 11.50 circa è arrivato l'allarme alla sala operativa del Comando dei Vigili del Fuoco di Grosseto da parte dei Carabinieri di Massa Marittima. Il 70enne, in compagnia di un amico, stava cercando minerali nella zona quando, avvicinatosi al bordo del vecchio pozzo, vi è caduto probabilmente per il cedimento del terreno friabile. Il compagno ha immediatamente dato l'allarme che ha fatto scattare la macchina dei soccorsi. Dal comando dei Vigili del Fuoco di Grosseto e dal Distaccamento di Follonica sono partite due squadre entrambe composte anche da personale Saf specializzato in interventi di questo tipo. Giunti sul luogo, due Vigili del Fuoco si sono immediatamente calati all'interno del pozzo il cui diametro è di circa 2 metri usando tecniche Saf, hanno raggiunto il malcapitato che si trovava ad una profondità di circa 10 metri, e una volta assicurato ed immobilizzato con ragno e collare cervicale alla barella toboga, hanno iniziato la risalita dal pozzo utilizzando carrucole, rinvi e corde. L'uomo è stato trasportato in ambulanza all'ospedale di Grosseto. Sul posto anche personale del 118, elisoccorso Pegaso e Carabinieri di Massa Marittima.